Il papa e la signora San Suu Kyi
Ho visto camminare il papa sulle strade del Myanmar e ho pensato a 10 anni fa. Nell’autunno del 2007 i monaci buddhisti scesero in piazza in tutto il Paese per protestare contro il regime militare. La signora Aung San Suu Kyi era agli arresti domiciliari prigioniera e ostaggio di quel regime. Finalmente anche l’Europa e l’Occidente si accorsero di questo straordinario Paese.
Anche i politici italiani indossarono dei fiocchi di stoffa per solidarizzare con la rivoluzione dello zafferano, fu davvero un miracolo. Io cercai un’altra strada e decisi di andare con la mia carrozzina da poliomielitico a incontrare a Yangon la signora di Aung San Suu Kyi, come se fosse la cosa più semplice del mondo.
Arrivai a Yangon, portando il Pegaso, il premio per i diritti umani della Regione Toscana. Speravo di consegnarlo nell’incontro che avevo tanto desiderato e voluto. Ma una barriera di filo spinato impedì questo incontro. Fummo minacciati dalla polizia a partire dall’autista che ci accompagnava (eravamo in tre). Lasciammo perciò il premio al nostro ambasciatore con l’impegno di consegnarlo da parte sua alla prima occasione possibile, un attimo dopo la sua liberazione. Cosa che è avvenuta nel 2010.
Visitammo il poverissimo ospedale musulmano e il robusto ospedale buddista di Yangon. Dopo quel viaggio assolutamente straordinario, 10 anni dopo mai avrei potuto immaginare la visita di un papa a Yangon.
Oggi abbiamo vissuto la gioia di questo viaggio, dopo aver incontrato la signora San Suu Kyi a Bologna in un memorabile incontro. Il papa è andato ad ascoltare, a conoscere e a sostenere il popolo del Myanmar, con le sue contraddizioni e le sue sofferenze, la sua negazione dei diritti e il suo faticoso cammino verso i diritti. Il vero annuncio sono i passi che ciascuno fa nella storia di un popolo, senza omettere nulla, tanto meno il dolore e il potere.
Il papa ha portato le sue parole: guarire, perdonare, riconciliare, accompagnare, profetizzare, pace e diritti umani. Non si tratta di discettare sui diritti umani ma di ascoltare il grido delle vittime, il patire del popolo rohingya e di tutte le altre comunità sofferenti. Il papa ha incontrato e confermato la Chiesa cattolica nel suo essere piccola e nella piccolezza dirige i suoi passi sulla via della pace. Una piccola Chiesa che, nella sua piccolezza, non corre la corsa del potere.
Ecco lo sguardo della piccolezza che apre alla grande Cina, senza concorrenza e senza onnipotenza.
Papa Francesco a Yangon ha incontrato una grande amica nell’impegno per la pace e i diritti umani, la signora San Suu Kyi. Il cammino e’ solo all’inizio. La forza della mitezza li unisce e questo viaggio è stato un grande successo perché è venuto il messaggero di lieti annunci e il suo annuncio è la gioia della pace. È iniziato un processo che cambierà la storia di questa parte di mondo e già l’ha cambiata. Il tempo si è fatto breve e urge la passione della pace, che le vittime chiedono nel tempo della prova.
Il dialogo interreligioso chiama cattolici e buddhisti a camminare insieme sulla via dei diritti umani, trovando nella tradizione religiosa di ciascuno, la forza della debolezza, che sconfigge la violenza, come eterna tentazione del potere.