Papa Francesco in visita ecumenica in Sud Sudan
Domenica 5 febbraio, nell’ultimo giorno del suo “pellegrinaggio di pace” in terra africana, papa Francesco ha implorato il popolo sudanese di deporre le armi e perdonarsi a vicenda, presiedendo la messa presso il monumento all’eroe dell’indipendenza sudsudanese John Garang. Alla messa pubblica, che ha radunato a Juba una folla di circa 70 mila persone, hanno partecipato anche vari leader politici del Paese. La liturgia, gioiosa, è stata animata da un coro composto da 300 persone e da 70 danzatori.
«Anche se i nostri cuori sanguinano per i torti subiti, rifiutiamo, una volta per tutte, di ripagare il male con il male», ha detto Papa Francesco nella sua omelia. «Accettiamoci gli uni gli altri e amiamoci con sincerità e generosità, come Dio ci ama».
I primi a salutare papa Francesco al suo arrivo a Juba, la capitale sudsudanese, il 3 febbraio, sono stati l’arcivescovo anglicano Justin Welby e il moderatore presbiteriano Iain Greenshields, entrambi saliti a bordo dell’aereo papale poco dopo l’atterraggio. I tre leader cristiani sono stati accolti all’aeroporto di Juba, prima di raggiungere il Palazzo presidenziale, da canti e applausi interminabili del popolo.
Oltre il 60 per cento della popolazione del Sud Sudan è cristiana, appartenente alle tre confessioni cattolica, anglicana e presbiteriana.
«Sono venuto con due fratelli, l’arcivescovo di Canterbury e il moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia. Insieme, tendendo le mani, ci presentiamo a voi e a questo popolo nel nome di Gesù Cristo, il principe della pace», ha detto il papa al suo arrivo.
Welby e Greenshields hanno raggiunto Francesco all’altare durante la messa di domenica 5 febbraio ed hanno voluto insieme attirare l’attenzione sulla situazione di questo Paese, ricco di petrolio eppure uno dei più poveri del mondo, dove le esigenze umanitarie sono in aumento, soprattutto per i 2 milioni di sfollati a causa dei continui scontri.
Il Sud Sudan è stato devastato dal 2013, appena due anni dopo la sua indipendenza dal Sudan, da una sanguinosa guerra civile tra i sostenitori del presidente Salva Kiir, di etnia Dinka, e i sostenitori del vicepresidente Riek Machar, di etnia Nuer. Nel 2019 papa Francesco ha baciato i piedi dei due leader al termine di un ritiro in Vaticano, in un momento in cui sembrava che un fragile accordo di pace stesse per crollare. È stato allora che i tre leader cristiani hanno preso l’impegno di visitare insieme il Sud Sudan.
«Dopo il ritiro del 2019, i nostri leader politici si sono impegnati a non riportare il Paese in guerra», ha dichiarato padre James Oyet Latansio, segretario generale del Consiglio delle Chiese del Sud Sudan. Ma alcuni osservatori sottolineano che dopo aver sostenuto l’indipendenza del Paese, le Chiese non hanno saputo appoggiare adeguatamente la costruzione della società civile e delle istituzioni politiche.
Il papa, l’arcivescovo e il moderatore suggeriscono che è proprio quella voce che è mancata che vogliono ora alzare, insieme, in Sud Sudan e che non esiteranno a parlare con franchezza ai leader politici.
Nel suo incontro con centinaia di leader religiosi del Sud Sudan nella cattedrale di Santa Teresa, a Juba, papa Francesco li ha esortati a non rimanere neutrali e a parlare contro «l’ingiustizia e gli abusi di potere che opprimono».
«Abbiamo bisogno di leader che si preoccupino dei valori con cui vivono i nostri Paesi, che si preoccupino delle condizioni in cui vivono le persone e che mettano in pratica la loro fede lavorando tra i più vulnerabili ed emarginati. Sono queste le cose che fanno la pace», ha detto il reverendo Ian Greenshields al Palazzo presidenziale di Juba.
Milioni di sud sudanesi sperano – e pregano – che la visita dei tre leader religiosi segni un nuovo inizio per questo travagliato Paese.
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