Papa Francesco: «Chi vende oggi le armi ai terroristi?»
L’Iraq è una culla della civiltà, densa di storia, cultura e di luoghi citati nella Bibbia ma «cosa l’ha distrutta?» – si chiede il papa all’Udienza generale -. «La guerra. Sempre la guerra è il mostro che, col mutare delle epoche, si trasforma e continua a divorare l’umanità».
In principio fu la guerra contro l’Iran. Un milione di morti tra il 1980 e il 1988. L’invasione del Kuwait provoca nel 1991 la Prima Guerra del Golfo, seguita, nel 2003 dalla Seconda Guerra del Golfo in cui cade Saddam Hussein che aveva governato con pugno di ferro il Paese il Paese per 24 anni, sin dal 1979. Violenze mai sopite, attentati continui in un Paese dal lento processo democratico e di normalizzazione fino all’ascesa dell’Isis (Daesh in arabo) nel 2014 che dilaga dalla vicina Siria e invade il Nord dell’Iraq conquistando numerose città Al-Fallūjah, Ar-Ramādī, Kirkūk, Mosul e la Piana di Ninive. Solo quasi tre anni dopo, il 9 dicembre 2017 il Premier al-‘Abadi ha dichiarato ufficialmente vinta la guerra contro il Califfato.
Le guerre sono il paradiso dei commercianti d’armi. Se si potesse quantificare quante ne sono state vendute, che fatturato hanno generato e che conseguenze dirette e collaterali hanno causato in termini di vittime, distruzione, peggioramento delle condizioni di vita da tutti i punti di vista per anni e anni a venire non basterebbe un solo saggio.
«E io mi sono domandato: chi vendeva le armi ai terroristi? Chi vende oggi le armi ai terroristi, che stanno facendo stragi in altre parti, pensiamo all’Africa per esempio? È una domanda a cui io vorrei che qualcuno rispondesse».
Solo l’Italia, in 30 anni, ne ha vendute per più di 100 miliardi di euro a Paesi extra Ue e Nato.
Ma al papa interessano gli antidoti che da mesi sta proponendo come risposta alla pandemia per affermare che «la fraternità è più forte del fratricidio».
Fraternità che ha mostrato al popolo iracheno con la sua vicinanza, con un viaggio voluto a tutti i costi, mentre aveva molti oppositori in Vaticano a motivo della pandemia e della sicurezza.
«Non potevo avvicinarmi a quel popolo martoriato, a quella Chiesa martire, senza prendere su di me, a nome della Chiesa Cattolica, la croce che loro portano da anni; una croce grande, come quella posta all’entrata di Qaraqosh. L’ho sentito in modo particolare vedendo le ferite ancora aperte delle distruzioni, e più ancora incontrando e ascoltando i testimoni sopravvissuti alle violenze, alle persecuzioni, all’esilio».
Solo i cristiani agli inizi del Duemila erano 1 milione e 400 mila, ora sono 3-400 mila, ma il papa ha incontrato tutti e ha menzionato più volte le persecuzioni contro gli Yazidi.
Da dove ricominciare? «La risposta non è la guerra ma la risposta è la fraternità. Questa è la sfida per l’Iraq, ma non solo: è la sfida per tante regioni di conflitto e, in definitiva, è la sfida per il mondo intero: la fraternità. Saremo capaci noi di fare fraternità fra noi, di fare una cultura di fratelli? O continueremo con la logica iniziata da Caino, la guerra?»
Fratellanza, fraternità che lui ha vissuto con semplicità attraversando il Paese, incontrando il popolo e i leader politici e religiosi. Tappe che ripercorre nella sua catechesi del mercoledì.
A Ur, sede della casa di Abramo, ha pregato con rappresentanti dei musulmani e altre religioni, sotto «lo stesso cielo nel quale il nostro padre Abramo vide noi, sua discendenza, ci è sembrata risuonare ancora nei cuori quella frase: Voi siete tutti fratelli». Messaggio di fraternità che è risuonato nella «Cattedrale Siro-Cattolica di Baghdad, dove nel 2010 furono uccise quarantotto persone, tra cui due sacerdoti, durante la celebrazione della Messa».
Messaggio di fratellanza lanciato a Mosul, Qaraqosh, Erbil, nella Piana di Ninive soggiogata per tre anni dal Califfato da dove sono fuggiti 120 mila cristiani. Normalmente i leader politici nelle loro visite in Iraq stazionano poche ore nella capitale Badgad, in maniera blindata, incontrano i leader politici e spariscono. Il papa è l’unico leader mondiale che va nei luoghi del misfatto, incontra le persone, visita i luoghi distrutti. Ha anche una valenza politica, oltre che sociale e umana.
Insiste: «Fratellanza, è lì. E continuiamo, per favore, a pregare per questi nostri fratelli e sorelle tanto provati, perché abbiano la forza di ricominciare. E pensando ai tanti iracheni emigrati vorrei dire loro: avete lasciato tutto, come Abramo; come lui, custodite la fede e la speranza, e siate tessitori di amicizia e di fratellanza là dove siete. E, se potete, tornate».
Circa il 50% lo ha già fatto, molti sono in attesa, a causa della pandemia, bloccati in Libano, Turchia. Molti non torneranno più, in diaspora in Australia, Nord America, Europa.
«Cari fratelli e sorelle, -conclude il papa evidentemente contento – lodiamo Dio per questa storica visita e continuiamo a pregare per quella Terra e per il Medio Oriente. In Iraq, nonostante il fragore della distruzione e delle armi, le palme, simbolo del Paese e della sua speranza, hanno continuato a crescere e portare frutto. Così è per la fraternità: come il frutto delle palme non fa rumore, ma è fruttuosa e fa crescere. Dio, che è pace, conceda un avvenire di fraternità all’Iraq, al Medio Oriente e al mondo intero!».