Papa Francesco torna in Asia
A pochi giorni dalla partenza in un videomessaggio rivolto alla Thailandia il papa ha evidenziato le caratteristiche positive di una «nazione multietnica e diversificata con ricche tradizioni spirituali e culturali», da sempre impegnata a «promuovere l’armonia e la coesistenza pacifica» in tutta la regione del Sud-Est asiatico.
Bergoglio visiterà la piccola comunità cattolica: 389 mila persone su più di 65 milioni di abitanti, solo lo 0,59% della popolazione mentre i buddisti di tradizione theravada sono quasi il 95%. La visita sarà connotata dal dialogo tra le religioni e «spero che la mia visita ‒ precisa il papa ‒ contribuisca a sottolineare l’importanza del dialogo interreligioso, della comprensione reciproca e della cooperazione fraterna, soprattutto al servizio dei poveri, dei più bisognosi e al servizio della pace».
Il viaggio in Thailandia avviene in occasione dei 350 anni dell’istituzione del Vicariato apostolico di Siam, eretto nel 1669, e il motto scelto per il viaggio è “Discepoli di Cristo, discepoli missionari” per indicare i tre motivi principali del viaggio: la ripresa dello slancio missionario con uno stile, naturalmente, nuovo e non di proselitismo, il ruolo dei cattolici per una società più umana, la cultura universale del cristianesimo incarnata nelle tradizioni locali. Ma la Chiesa universale ha anche da imparare dalla Chiese particolari. «Il primo dono ‒ racconta il missionario Daniele Mazza del Pime ‒ viene da una modalità di collaborazione tra Stato e religioni. Il governo invita spesso i leader religiosi nei vari incontri che si tengono a livello provinciale e cittadino per portare il loro contributo. Il secondo dono viene dall’importanza data a minoranze etniche per favorire l’integrazione pur nel rispetto dei diversi valori culturali tradizionali».
Grande attesa anche nella piccola comunità locale dei Focolari: «La visita del papa ci fa avvertire ancora di più l’Amore di Dio per ciascuno di noi», in una società dove «bisogna aver più cura della famiglia e promuovere l’educazione sia umana che morale».
La visita del santo padre in Thailandia «viene “letta” ‒ secondo il nostro corrispondente George Ritinsky ‒ non solo come un incontro con il piccolo popolo cattolico, ma anche per valorizzare la “cultura della tolleranza e del dialogo” portata avanti dai 70 anni di regno del defunto Re Rama IX, Bhumidol Adulyadej, ideatore e sostenitore di circa 3 mila progetti a favore dei più poveri e delle minoranze etniche ed ora dal figlio Rama X, Maha Vajiralongkorn. La visita del papa avrà un’impronta internazionale per un evento che rischiava di passare quasi inosservato per la stragrande maggioranza buddhista dei thailandesi e della regione».
Seconda tappa in Giappone. «Verrò in Giappone a novembre, preparati». Era il 23 gennaio di quest’anno. Papa Francesco, in volo verso Panama per la Gmg, svelò, rispondendo a un giornalista giapponese, la sua intenzioni di recarsi in viaggio nel suo Paese. Uno dei motivi è un legame storico e personale.
Il cristianesimo arrivò in Giappone, nel 1549, con i gesuiti Francesco Saverio, Cosme de Torres e Giovanni Fernandez. Qualche decennio dopo si erano convertite circa 300 mila persone. La paura di diventare una nuova colonia Occidentale convinse le autorità giapponesi a reprimere nel sangue i fedeli della nuova religione. I giapponesi convertiti che si rifiutarono di abiurare la fede cattolica furono uccisi. 26 martiri, sei missionari francescani europei, tre gesuiti giapponesi, 17 terziari francescani giapponesi furono crocifissi e nel martirologio romano sono ricordati come san Paolo Miki e compagni.
Quello dei gesuiti è stato «uno sforzo di inculturazione paziente ‒ ricorda Alessandro Gisotti ‒, che “non confida in un rapido successo e nei risultati immediati, perché Dio va a tre miglia all’ora, cioè secondo il passo dell’uomo”, come notava proprio padre Nicolás in un articolo del 2014 per La Civiltà Cattolica intitolato «Vivere la missione in Giappone».
Bergoglio è legato al Giappone anche perché da giovane voleva andarci come missionario. Lui stesso lo racconta nel libro-intervista El Jesuita dei giornalisti argentini Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti: «Con il tempo mi sorse il desiderio di andare missionario in Giappone dove i gesuiti realizzano un’opera molto importante da sempre».
Nel 1987 si era già recato nel Paese del Sol Levante perché il provinciale dei gesuiti, padre Enzo De Luca, è un suo ex allievo. Ora il viaggio da papa, in una terra ricca di tradizioni antichissime che pongono al centro il tema della “vita”, nel senso più ampio del termine, sedimentato dai valori provenienti dal confucianesimo.
Il Giappone da anni ha intrapreso la strada del progresso, lo sviluppo della tecnologia, il senso del dovere, l’amore per la patria e la dedizione totale al lavoro come impegno civico per costruire la nazione. Il motto “Proteggi ogni vita” scelto dal papa per questo viaggio indica chiaramente l’intenzione di richiamare i valori più profondi e autentici insiti nella tradizione giapponese, patrimonio non solo dei cattolici, che rappresentano solo lo 0,42% della popolazione. Come in molte società Occidentali e secolarizzate, anche in Giappone la modernità intesa e vissuta come consumismo ha portato come lascito la perdita di un orizzonte di senso una cultura dello scarto attraversa tutti gli strati della società.
Solitudini, povertà, mancanza di rispetto per la vita umana sono l’altra faccia della medaglia del capitalismo predatorio. «Per questo il papa – chiarisce mons. Tarcisio Isao Kikuchi, arcivescovo di Tokyo – sta venendo in visita con un messaggio di rispetto per le vite umane, affinché tutti possiamo essere inclusi nella società e ogni vita umana possa ricevere il dovuto rispetto e cura».
«Dal 1998 ad oggi, più di 20 mila, talvolta più di 30 mila persone commettono suicidio ogni anno ‒ ci dice padre Bernardo Cervellera direttore di Asianews ‒. C’è una grande dedizione nel lavoro, una grande efficienza, ma spesso si smarriscono le ragioni di tanto impegno».
Padre Marco Villa è il segretario generale del Pime e risiede a Milano, ma per 18 anni è stato missionario in Giappone. Gli ultimi anni li ha trascorsi nella periferia Nord di Tokyo, impegnato nella pastorale e in un Centro di ascolto per le molteplici facce della solitudine giapponese. «È una grande occasione ‒ commenta ‒ per la piccola comunità cristiana che sta sempre di più diventando multietnica e non giapponese. Si vedrà l’universalità della Chiesa e il papa darà un ulteriore spinta verso l’internazionalità. Il tema della vita sta a cuore a tutti i giapponesi indipendentemente da ogni religione».
Altro grande tema del viaggio in Giappone sarà un messaggio di pace segnato dalle visite a Nagasaki e Hiroshima. L’appello contro le armi nucleari sarà lanciato perché si compiano passi per la loro eliminazione totale. Una battaglia senza tentennamenti. Il 15 gennaio 2018 il papa era in volo verso il Cile. Mostrò ai giornalisti la foto del “bambino di Nagasaki” che cammina, nel 1945, con in spalla il fratellino morto. La didascalia che fece scrivere fu: «Il frutto della guerra».
«Il 2019 di papa Francesco ‒ spiega Roberto Catalano, corresponsabile Centro dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari ‒ si conclude in piena coerenza con il suo pontificato. Aveva aperto l’anno con le due visite ad Abu Dhabi e in Marocco, nel cuore dell’Islam, ed era passato, poi, in Romania e Bulgaria a contatto con l’ortodossia dei Balcani. Dovunque, minuscola presenza cattolica, problemi di identità, ma anche sguardo al futuro aperto e dialogico».
In allegato l’editoriale di Roberto Catalano apparso nel numero di novembre di Città Nuova.