Papa Francesco a Palermo

La chiesa siciliana e italiana si radunano per celebrare il rendimento di grazie per il martirio di don Pino Puglisi, avvenuto venticinque anni fa il 15 settembre 1993 a Palermo.

 

Egli ha donato la sua vita, imparando da Gesù “il testimone fedele” (Ap.1), seguendo le orme del Signore, consegnando il Vangelo fino alla fine, come ha fatto Stefano, il primo martire del nuovo testamento, in una diakonia senza limiti e senza condizioni.

In questi venticinque anni la chiesa italiana e la chiesa di Palermo hanno vissuto il dono della penitenza, della conversione, del digiuno del cuore e della vita, per abbandonare la tentazione del clericalismo del potere, del pelagianesimo, che riduce il Vangelo a ideologia e cerca il banchetto dei potenti.

Papa Francesco ha chiamato la chiesa italiana a uscire dalle sue sicurezze, dalla sue connivenze, dalle sue ambiguità, da una cultura prepotente e collusa con i potenti di turno.

Firenze è stato il primo passo di una ecclesiologia eucaristica che forma e plasma i discepoli del Signore. Li forma e li plasma al mistero della chiesa, che è martyria, koinonia e diakonia (ndr: martirio, comunione e servizio). Li plasma ad una nuova sinodalità, che si manifesta nelle strade del Brancaccio, là dove vivono i poveri, le vittime, i ragazzi.

In questo ultimo anno, Francesco è partito da Bozzolo e Barbiana, da san Giovanni Rotondo, ad Alessano, da Nomadelfia, a Loppiano, per concludere il suo pellegrinaggio a Palermo.

Don Lorenzo Milani, don Primo Mazzolari, padre Pio, don Zeno Saltini, Chiara Lubich, il vescovo Tonino Bello e per ultimo padre Pino Puglisi. Questa è come una narrazione della santità della nostra chiesa, che ha il suo pieno significato e il suo radicale disvelamento e compimento nel martirio di don Pino.

In questi viaggi, in questi luoghi, il papa ha incontrato la santità della nostra chiesa e delle nostre chiese, nella diversità dei percorsi di vita e dei carismi

Ma il punto altissimo è il martirio. È il martirio di don Pino Puglisi che si fa parola di Dio, che purifica i nostri legami con la violenza, con la mafia e con il potere.

Il martirio non ha bisogno di aggettivi. Diventa esempio nel suo riconoscere e accogliere colui che, nel paradosso evangelico, da carnefice diventa “amico dell’ultimo minuto”.

Quando Dio parla nella vita e nella morte di don Pino, non c’è rancore, non c’è vendetta, c’è semplicemente il Vangelo, che perdona il carnefice. C’è la parola di perdono del crocifisso: «Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno».

C’è una chiamata per tutti sulle vie semplici e disarmate del Vangelo. Una chiamata che ha la misura del martire.

L’ultima parola di don Pino, quando l’assassino è arrivato, è stata: «Me l’aspettavo».

Il martirio non è un fatto casuale, inatteso, sorprendente. Sicuramente non è stato questo per don Pino, che già viveva e si preparava nel tempo dell’attesa. Il tempo che Gesù ha vissuto nel Getsemani, pregando, offendo sino alla fine la sua vita, imparando l’obbedienza dalle cose che ha patito. Il tempo di don Pino al Brancaccio, con i suoi ragazzi, senza altra difesa che quella del Vangelo, aperto e pregato e spiegato ogni giorno, per cambiare la loro mentalità e la mentalità di tutti.

Ci sono voluti venti anni per riconoscere il martirio di don Pino, segno davvero di contraddizione di fronte ai distinguo della dottrina, all’astuzia dei dottori e degli scribi, in una continua richiesta di nuovi documenti, che avevano il sapore di una tattica dilatoria, quando invece il segno di don Pino aveva la misura della semplicità di Dio.

A Firenze il Papa ha consegnato la chiesa spogliata, povera, umile e benedetta.

A Palermo Papa Francesco consegna alla chiesa sinodale, che abita in Italia, il segno del martirio di don Pino, che è il segno del crocifisso e della croce.

Negli Atti degli apostoli, i cristiani sono chiamati: “quelli della via”. Oggi don Pino ci indica la via umile del martirio, quella via a cui ci forma il santo Vangelo.

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