Papa Francesco: natalità e accoglienza segno di felicità sociale
La natalità e l’accoglienza non vanno mai contrapposte perché sono due facce della stessa medaglia, ci rivelano quanta felicità c’è nella società. Una comunità felice sviluppa naturalmente i desideri di generare e di integrare, di accogliere, mentre una società infelice si riduce a una somma di individui che cercano di difendere a tutti i costi quello che hanno. Il discorso di papa Francesco, questa mattina, è stato il clou della terza edizione degli Stati generali della natalità, promossi dalla Fondazione per la natalità, presieduta da Gigi De Palo, e dal Forum nazionale delle associazioni familiari, guidato da pochi mesi da Adriano Bordignon. Due giorni (11 e 12 maggio) in cui è stata posta l’emergenza natalità al centro del dibattito sociale e si è discusso seriamente e in profondità del perché non si fanno figli.
Eppure, ha spiegato il papa, «La nascita dei figli è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo. Se ne nascono pochi, vuol dire che c’è poca speranza. E questo non ha solo ricadute dal punto di vista economico e sociale, ma mina la fiducia nell’avvenire». Francesco ha raccontato due episodi per lui emblematici. «Due settimane fa, il mio segretario era in piazza San Pietro e veniva una mamma con la carrozzina. Lui, un prete tenero, si è avvicinato per benedire il bambino…, ma era un cagnolino! Quindici giorni fa, all’Udienza del mercoledì, io andavo a salutare, e sono arrivato davanti a una signora cinquantenne. Saluto e lei apre una borsa e dice: “Me lo benedice, il mio bambino?”: era un cagnolino! Lì non ho avuto pazienza: “Signora, tanti bambini hanno fame, e lei con il cagnolino!”. Fratelli e sorelle, queste sono scene del presente, ma se le cose vanno così, questa sarà l’abitudine del futuro. Stiamo attenti».
Purtroppo, oggi mettere al mondo dei figli viene percepito come un’impresa a carico delle famiglie e questo condiziona la mentalità delle giovani generazioni, che crescono nell’incertezza, se non nella disillusione e nella paura. «Vivono un clima sociale in cui metter su famiglia si è trasformato in uno sforzo titanico, anziché essere un valore condiviso che tutti riconoscono e sostengono.
Sentirsi soli e costretti a contare esclusivamente sulle proprie forze – ha aggiunto il papa – è pericoloso: vuol dire erodere lentamente il vivere comune e rassegnarsi a esistenze solitarie, in cui ciascuno deve fare da sé. Con la conseguenza che solo i più ricchi possono permettersi, grazie alle loro risorse, maggiore libertà nello scegliere che forma dare alle proprie vite. E questo è ingiusto, oltre che umiliante».
Viviamo un momento di crisi e i giovani sperimentano la precarietà. «Ma ricordiamo due cose: dalla crisi non si esce da soli, o usciamo tutti o non usciamo; e non si esce uguali: usciremo migliori o peggiori. Questa è la crisi di oggi: difficoltà a trovare un lavoro stabile, difficoltà a mantenerlo, case dal costo proibitivo, affitti alle stelle e salari insufficienti sono problemi reali. Sono problemi che interpellano la politica, perché – ha detto il papa – è sotto gli occhi di tutti che il mercato libero, senza gli indispensabili correttivi, diventa selvaggio e produce situazioni e disuguaglianze sempre più gravi».
La cultura dominante è «poco amica, se non nemica, della famiglia, centrata com’è sui bisogni del singolo. In particolare, vi sono condizionamenti quasi insormontabili per le donne. Le più danneggiate sono proprio loro, giovani donne spesso costrette al bivio tra carriera e maternità, oppure schiacciate dal peso della cura per le proprie famiglie, soprattutto in presenza di anziani fragili e persone non autonome. In questo momento le donne sono schiave di questa regola del lavoro selettivo, che impedisce loro pure la maternità».
Il papa ha poi esortato a ridare fiato ai desideri di felicità dei giovani. «Ognuno di noi sperimenta qual è l’indice della propria felicità: quando ci sentiamo pieni di qualcosa che genera speranza e riscalda l’animo, e viene spontaneo farne partecipi gli altri. Al contrario, quando siamo tristi, grigi, ci difendiamo, ci chiudiamo e percepiamo tutto come una minaccia. Ecco, la natalità, così come l’accoglienza, che non vanno mai contrapposte perché sono due facce della stessa medaglia, ci rivelano quanta felicità c’è nella società».
Ai presenti agli Stati generali della natalità il papa ha affidato la parola “speranza”: non ottimismo, ma una virtù concreta, un atteggiamento di vita che si nutre dell’impegno per il bene da parte di ciascuno. Alimentare la speranza è dunque un’azione sociale, intellettuale, artistica, politica nel senso più alto della parola; è mettere le proprie capacità e risorse al servizio del bene comune, è seminare futuro.
Francesco auspica che si possa «creare una grande alleanza di speranza per ricominciare a nascere, non solo fisicamente, ma interiormente, per venire alla luce ogni giorno e illuminare di speranza il domani. Non rassegniamoci al grigiore e al pessimismo sterile… Non crediamo che la storia sia già segnata, che non si possa fare nulla per invertire la tendenza. Perché è proprio nei deserti più aridi che Dio apre strade nuove. Cerchiamo insieme queste strade nuove in questo deserto arido!».
La speranza, ha concluso Francesco, interpella a mettersi in moto per trovare soluzioni che diano forma a una società all’altezza del momento storico che stiamo vivendo, tempo di crisi attraversato da tante ingiustizie. La guerra è una di queste. Ridare impulso alla natalità vuol dire riparare le forme di esclusione sociale che stanno colpendo i giovani e il loro futuro. Ed è un servizio per tutti.
Anche il presidente Sergio Mattarella ha inviato un suo messaggio. «La coesione sociale del Paese – ha scritto – si misura sulla capacità di dare un futuro alle giovani generazioni, creando un clima di fiducia. Alle Istituzioni compete la responsabilità di attuare politiche attive che permettano alle giovani coppie di realizzare il loro progetto di vita, superando le difficoltà di carattere materiale e di accesso ai servizi che rendono ardua la strada della genitorialità… Politiche abitative, fiscali e sociali appropriate, l’equilibrio tra vita e lavoro, sono questioni fondamentali per lo sviluppo delle famiglie».
Agli Stati generali della natalità è intervenuta anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. «Viviamo un’epoca nella quale parlare di natalità, di maternità e di famiglia, è diventato sempre più difficile. A volte – ha affermato – sembra quasi un atto rivoluzionario». Meloni ha assicurato di aver fatto «della natalità e della famiglia una priorità assoluta della nostra azione. E lo abbiamo fatto perché vogliamo che l’Italia torni a sperare e a credere in un futuro migliore rispetto a questo presente incerto».
Più che una serie di interventi specifici, Meloni ha spiegato che si vuole porre l’attenzione sulla famiglia in tutta l’azione del governo. «La denatalità – ha affermato la premier – non dipende solo da questioni materiali. Dipende dalla retribuzione, dai servizi, dagli asili, dalla sanità, dall’armonizzazione soprattutto per le donne tra vita e lavoro, ma dipende anche, e tanto, dalla capacità che una società ha di percepirsi come vitale. Di immaginare il proprio futuro, di “pensarsi” nei decenni a venire, di saper guardare oltre il qui e ora. Questo a noi è mancato. Questa è la nostra prima e più grande sfida».
Noi, ha aggiunto Meloni, «vogliamo restituire agli italiani una Nazione nella quale essere padri non sia fuori moda ed essere madri non sia una scelta privata, ma un valore socialmente riconosciuto. Una Nazione nella quale tutti, uomini e donne, riscoprano la bellezza di diventare genitori, di accogliere, custodire e nutrire un figlio. Una Nazione nella quale fare un figlio è una cosa bellissima che non ti toglie niente, che non ti impedisce di fare niente e che ti dà tantissimo. Noi vogliamo una Nazione nella quale non sia più scandaloso dire che, qualsiasi siano le legittime scelte e le libere inclinazioni di ciascuno, siamo tutti nati da un uomo e una donna. Nella quale non sia un tabù dire che la maternità non è in vendita, che gli uteri non si affittano, che i figli non sono prodotti da banco, che puoi scegliere sullo scaffale come se fossi al supermercato e magari restituire se poi il prodotto non corrisponde a quello che ti aspettavi».
Per Meloni bisogna ripartire «dal rispetto della dignità, dell’unicità, della sacralità di ogni singolo essere umano, perché ognuno di noi ha un codice genetico unico e irripetibile e questo, piaccia o no, ha del sacro».
Giovedì 11 sono invece intervenuti i rappresentanti dei principali schieramenti politici. Tutti si sono detti disposti a dialogare per realizzarea provvedimenti per promuovere la famiglia e la natalità. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani di Forza Italia ha parlato dell’importanza di ridurre la pressione fiscale per le famiglie con più di 2 figli e di rafforzare i permessi non solo di maternità, ma anche di paternità. L’utero in affitto, ha però sottolineato, non è una delle modalità per aumentare la natalità.
Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini della Lega ha parlato dell’impegno a sostenere chi decide di fare figli e anche i centri di sostegno alla vita, per aiutare le donne conn difficoltà economica a diventare mamme. Per Elena Bonetti, di Italia Viva, la sinergia tra associazionismo e imprese ha spinto la politica a fare passi avanti. Adesso bisogna rinforzare l’assegno unico universale.
Mara Carfagna di Azione ha sottolineato come, non consentendo alle donne di avere figli, stiamo violando il loro diritto alla maternità, un diritto umano essenziale che come tale andrebbe tutelato. Elly Schlein, neosegretaria del Pd, ha parlato dell’importanza di contrastare la precarietà del lavoro e di impegnarsi per rendere possibile davvero la conciliazione vita-lavoro.
Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha invece spiegato che a livello mondiale il calo demografico non c’è, perché gli abitanti del pianeta aumentano e tanti di quelli che nascono nel mondo vorrebbero venire a vivere in Italia. E allora perché preoccuparsi delle nascite nel nostro Paese? «Se la risposta è incrementare la natalità, è – ha commentato – probabilmente per ragioni legate alla difesa di quell’appartenenza, a cui molti sono legati, io in particolare con orgoglio, a quella che è la cultura italiana, al nostro ceppo linguistico, al nostro modo di vivere… Credo che sia evidente a tutti che non esiste una razza italiana. Esiste però una cultura, un’etnia italiana, quella che la Treccani definisce raggruppamento linguistico culturale, che immagino che in questo convegno si tenda a tutelare. Perché sennò non avrebbe senso».
Dall’impegno a collaborare, nei prossimi mesi e anni bisognerà passare rapidamenti ai fatti, senza divisioni, lavorando insieme, al fine di raggiungere le 4 priorità indicate da Gigi De Palo. La prima è raggiungere i 500 mila nuovi nati entro il 2033. La seconda priorità è inserire, nella prossima legge di bilancio, un assegno unico più sostanzioso, una riforma fiscale che tenga conto della composizione familiare e del numero dei figli, e la modifica dell’Isee, affinché il fisco non penalizzi, come ancora oggi avviene, le famiglie con figli. Terza priorità destinare più risorse del PNRR alla natalità. Infine, fare il possibile, anche aiutando le aziende virtuose in tal senso, affinché le donne non debbano più dover scegliere tra lavoro e famiglia. Perché la maternità è un valore aggiunto, e come tale deve essere considerata, anche nel mondo del lavoro.
Per approfondire leggi anche: Perché non si fanno figli: parliamone seriamente.
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