Papa Francesco e il mistero dell’unità

Incontro di Jorge Mario Bergoglio con i rappresentanti delle Chiese cristiane e delle grandi religioni. La ferma volontà di proseguire nella via maestra dell’avvicinamento reciproco
Papa Francesco e il patriarca Bartolomeo I.

Nella tarda mattinata di ieri papa Francesco ha ricevuto in udienza i rappresentanti delle Chiese e Comunità Ecclesiali, del mondo ebraico e di diverse religioni, convenuti a Roma già per la messa di inizio pontificato svoltasi il giorno precedente in piazza San Pietro. Si è trattato di una rappresentanza molto qualificata, sia a livello ecumenico che di altre religioni.

L’incontro è stato aperto dal saluto pronunciato dal patriarca Bartolomeo I, che ha definito l’elezione del nuovo papa come ispirata da Dio; allo stesso tempo, ha voluto ricordare Benedetto XVI, definendolo come uomo mite, che si è distinto per la conoscenza e spirito di carità. Il patriarca di Costantinopoli ha riconosciuto le enormi responsabilità davanti a Dio e agli uomini che papa Francesco ha assunto con la sua elezione ed ha sottolineato con calore e convinzione che «l’unità delle Chiese cristiane costituisce la prima delle nostre preoccupazioni per la credibilità della testimonianza cristiana per gli altri uomini e donne». È necessario, quindi, continuare il dialogo, soprattutto teologico in verità e carità. Altrettanto significativa l’attenzione del patriarca ecumenico alla situazione mondiale, in un momento di crisi, che richiede una azione umanitaria per la cui realizzazione vede in papa Francesco un «buon samaritano che in America Latina ha sperimentato come pochi altri la miseria e la sofferenza di tanti».

La risposta del nuovo vescovo di Roma è stata subito altrettanto calorosa, con un indirizzo al patriarca ecumenico, a cui papa Francesco si è rivolto come «il mio fratello Andrea». È seguito un messaggio rivolto prima ai rappresentanti delle Chiese cristiane, nella seconda parte agli ebrei e, infine, ai seguaci di altre tradizioni. Un discorso breve, ma carico di contenuti, dal quale si può già vedere una linea di svolgimento del ministero petrino di Bergoglio, sia nel campo dei rapporti con le Chiese che con i fedeli delle grandi tradizioni religiose.

Le parole del papa sono state ricche di riconoscenza verso i delegati delle Chiese ortodosse, delle Chiese ortodosse orientali e delle Comunità ecclesiali d’Occidente, per la presenza «alla celebrazione che ha segnato l’inizio del mio ministero di vescovo di Roma e successore di Pietro». Si è trattato di un atto che ha reso «spiritualmente presenti le comunità che rappresentate», ha sottolineato papa Francesco. E con ciò, ha confessato, «mi è parso così di vivere in maniera ancor più pressante la preghiera per l’unità tra i credenti in Cristo e insieme di vederne in qualche modo prefigurata quella piena realizzazione».

Pronto il riferimento al Vaticano II: «Insieme con voi non posso dimenticare quanto quel Concilio abbia significato per il cammino ecumenico». Adeguata e significativa la citazione tratta dal discorso di apertura da parte di Giovanni XXIII. «La Chiesa cattolica ritiene suo dovere adoperarsi attivamente perché si compia il grande mistero di quell’unità che Cristo Gesù con ardentissime preghiere ha chiesto al Padre Celeste nell’imminenza del suo sacrificio; essa gode di pace soavissima, sapendo di essere intimamente unita a Cristo in quelle preghiere».

Chiara, quindi, l’intenzione del nuovo pontefice di «assicurare, sulla scia dei predecessori, la ferma volontà di proseguire nel cammino del dialogo ecumenico.

La stessa assicurazione è venuta rivolgendosi ai «distinti rappresentanti del popolo ebraico» ai quali, ha sottolineato il papa, «ci lega uno specialissimo vincolo spirituale».

Un cenno ai musulmani e, infine, a tutti i «cari amici appartenenti ad altre tradizioni religiose». Proprio l’amicizia pare essere parola chiave nel lessico ecumenico e interreligioso di Bergoglio. «La Chiesa cattolica è consapevole dell’importanza che ha la promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose». E qui lo stile del papa argentino si fa personale: «Questo voglio ripeterlo: promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose».

Un’amicizia, comunque, non fine a sé stessa, ma che, come vero valore umano e spirituale, si apre agli altri: «Verso l’intero creato, che dobbiamo amare e custodire» e per «fare molto per il bene di chi è più povero, di chi è debole e di chi soffre, per favorire la giustizia, per promuovere la riconciliazione, per costruire la pace».

Quindi una collaborazione a tutto campo per il bene dell’umanità, senza, tuttavia, dimenticare di «tenere viva nel mondo la sete dell’assoluto». Papa Francesco nella semplicità delle parole e nella chiarezza delle proprie idee ha ben presente il grande pericolo del mondo attuale, che definisce una insidia pericolosa: «Una visione della persona umana ad una sola dimensione, secondo cui l’uomo si riduce a ciò che produce e a ciò che consuma». Lavorare per la pace e per il bene comune significa, quindi, «testimoniare nelle nostre società l’originaria apertura alla trascendenza che è insita nel cuore dell’uomo». La mappa del dialogo di questo papa sudamericano è, dunque, chiara e si apre anche a «coloro che, pur non riconoscendosi appartenenti ad alcuna tradizione religiosa, si sentono tuttavia in ricerca della verità, della bontà e della bellezza di Dio».

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