Papa Francesco con i giovani a Singapore

L’atto conclusivo del viaggio più lungo del suo papato, papa Francesco l’ha celebrato (è proprio il caso di usare questa parola!) con i giovani a Singapore, la città-stato situata sull'estrema punta meridionale della penisola malese e tra i luoghi più densamente popolati del mondo. Una Chiesa in uscita capace di incontrare tutti perché tutti ugualmente figlie e figli dello stesso Padre
Attesa arrivo del papa a Singapore EPA/HOW HWEE YOUNG

È stato un viaggio molto ricco di contenuti ed esperienze che hanno portato Bergoglio nel Paese con il più alto numero di musulmani al mondo (l’Indonesia), in un angolo di mondo asiatico (Timor Leste) dove, (eccezione nel continente asiatico, a parte le Filippine) i cristiani sono in larghissima maggioranza.

Ma il lungo pellegrinaggio ha toccato anche la Papua Nuova Guinea, terra di missione e di nuova espansione per la fede in Cristo, per concludersi a Singapore, capitale della finanza mondiale, del commercio e degli investimenti e icona dei processi di globalizzazione e tecnologia che per molti – anche in Europa – sono futuristici.

Francesco ha toccato una varietà di problematiche: i rapporti con l’Islam ed ha stretto un nuovo patto di alleanza umano-religiosa con l’imam di Giacarta, dopo aver attraversato il tunnel che collega la grande moschea con la cattedrale cattolica. Ha parlato di giustizia sociale, di perdono, di attenzione a poveri ed emarginati. È stato toccato dalla fede entusiasta di folle, in stadi e spianate. Ha parlato della famiglia e di molto altro.

Tuttavia, la conclusione l’ha riservata, come spesso accade, ai giovani. Ma questa volta con una differenza. Nella modernissima e secolarizzata Singapore dove convivono confucianesimo, daoismo, induismo, sikhismo, islam e cristianesimo, ha dialogato con i giovani di religione e armonia religiosa. Un vero dialogo, all’interno di un college cristiano, ma alla presenza, oltre che del cardinale e di altre autorità religiose, anche del ministro della Cultura e dei giovani. Presenza importante a sottolineare che il progetto del dialogo è un investimento sul quale da decenni il governo ha deciso di impegnarsi.

In effetti, la storia del dialogo interreligioso a Singapore nasce ancora in tempi coloniali. Si deve tornare alla fine degli anni Quaranta e vale la pena di ricordare alcuni passi di cui in questi giorni si sono visti chiaramente i frutti.

Il 15 gennaio del 1949, ancora in piena era coloniale, Syed Ibrahim bin Omar Alsagoff, noto esponente della comunità musulmana del luogo, invitò varie personalità del mondo religioso della Singapore di quel tempo per celebrare la presenza in città di Maulana Mohamed Abdul Aleem Siddiqui, un grande leader religioso e maestro spirituale nato a Meerut in India. Si trattava di una nota personalità che viaggiò per il mondo per una quarantina d’anni per diffondere le sue idee sulla religione musulmana.

Fu proprio lui a suggerire ai presenti, una trentina, di studiare come realizzare quella collaborazione ed unità di intenti che i vari leaders avevano espresso nel corso della serata. Nemmeno un mese più tardi, venne convocato un secondo incontro che avrebbe segnato un passo storico. Il 4 febbraio, infatti, i vari leaders religiosi si ritrovarono una terza volta presso la residenza di Syed Ibrahim bin Omar Alsagoff, alla presenza dell’Alto Commissario britannico, massima autorità coloniale, per dar vita alla Interreligious Organisation of Singapore.

La sua finalità era quella di favorire “una vera amicizia fra i leaders delle varie religioni in modo da poter lavorare insieme per il beneficio della pace e la felicità dell’umanità”. La presidenza cambia ogni anno garantendo che via via ciascuna religione sia rappresentata a turno.

Questi decenni di lavoro dell’organizzazione interreligiosa, e di molte altre iniziative nate nel tempo, spiegano ciò che si è visto sul palco del college Catholic Junior college di Singapore. Un giovane indù, una ragazza sikh e una cattolica hanno raccontato le loro esperienze di dialogo. Non erano improvvisazioni.

Si trattava di una condivisione di vissuto nell’incontro con le altre religioni e di coraggio nell’affrontare le sfide inevitabili del dialogo: lo scoraggiamento, la difficoltà di uscire dalla propria comfort zone, i vantaggi ma anche i pericoli che vengono da fenomeni tecnologici come l’intelligenza artificiale.

Tre discorsi articolati, chiaramente fondati su un’esperienza di anni. E, di fronte a questo, papa Francesco ha lasciato le carte che aveva preparato ed ha instaurato un dialogo improvvisato, commentando, poi, sul volo di ritorno, di quanto fosse impressionato da quei giovani. Un dialogo a tutto campo che ha toccato alcuni aspetti che spesso tornano nel suo magistero: la necessità del coraggio, la via della creatività, la capacità di dialogare con tutti per creare sentieri di condivisione. Ma è arrivato ad affermare anche contenuti teologici che, se erano già stati accennati, a Singapore sono emersi con chiarezza cristallina.

Ha, per esempio, paragonato le religioni a delle lingue che salgono tutte, sebbene diverse, verso Dio. Soprattutto, ha chiarito che Dio è lo stesso Dio per tutti, affermando questa unicità divina con forza e rispetto per le diversità. Ha, tuttavia, sottolineato l’assurdità del pensare che il Dio degli uni sia meglio di quello degli altri. Dio è uno. Siamo tutti suoi figli e figlie. E a un certo punto ha chiesto un momento di raccoglimento cosicché tutti potessero pregare nel silenzio del cuore, l’unico Dio. Una lezione fondamentale a fronte di quello che solo qualche decennio fa avrebbe suscitato – e forse per qualcuno è così ancora oggi – dubbi di sincretismo. Una vera lezione del Magistero petrino in linea di coerenza profonda con quella “Chiesa in uscita” che Bergoglio predica da quando è salito al soglio petrino. Una Chiesa in uscita capace di incontrare tutti perché tutti ugualmente figlie e figli dello stesso Padre.

Tuttavia, un incontro come quello di venerdì 13 settembre non si improvvisa. È stato, senza dubbio, un momento di un lungo cammino ecclesiale. Ma non solo. La cattedra di questo insegnamento era rappresentata non tanto dalla Basilica di San Pietro o dai Sacri Palazzi, ma da un mondo dove da decenni le religioni cercano di armonizzarsi, sia pure nelle loro differenze, e convivere per la pace ed il bene sociale. La Chiesa cattolica ha avuto e continua ad avere un ruolo fondamentale nell’impresa del dialogo fra i credenti di diverse tradizioni. Ma non possiamo sottovalutare quanto altri fanno. I giovani di Singapore ce lo hanno dimostrato, grazie anche ai loro padri e nonni capaci già decenni prima del Concilio di scelte coraggiose.

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