Papa Francesco ai vescovi: ritrovare la freschezza delle origini
Un dialogo vivo quello di Gesù che interroga Pietro: «Mi ami tu?», «Mi sei amico?». Parole che riecheggiano vibranti sulla tomba di Pietro, segno della sua testimonianza fino al martirio, e sull’altare della Confessione, novello lago di Tiberiade, dove furono pronunciate. Parole che riecheggiano oggi nei cuori dei vescovi italiani riuniti nella Basilica di San Pietro con papa Francesco per rinnovare la professione di fede. «Vivere di Lui ‒ dice papa Francesco ‒ è la misura del nostro servizio ecclesiale che si esprime nella disponibilità all’obbedienza, all’abbassamento e alla donazione totale».
La cartina di tornasole di una donazione autentica è il dare la vita per gli altri perché «non siamo espressione di una struttura e di una necessità organizzativa». È un’idea chiave su cui papa Francesco torna spesso: «Noi non siamo una Ong ‒ aveva detto alla veglia di pentecoste con i movimenti il 18 maggio ‒ , e quando la Chiesa diventa una Ong perde il sale, non ha sapore, è soltanto una vuota organizzazione».
L’antidoto per evitare che la Chiesa si trasformi in una struttura vuota è alimentare l’amore che non è mai scontato. «La mancata vigilanza ‒ spiega il papa ‒ rende tiepido il Pastore; lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del Popolo di Dio». Con il conseguente rischio dell’incoerenza e di offuscare l’immagine e la fecondità della Chiesa.
Il papa è cosciente che numerose prove attraversano la vita dei vescovi, ma più importante è appoggiarsi a Gesù «che consola e rilancia; fa passare dalla disgregazione della vergogna – perché davvero la vergogna ci disgrega ‒ al tessuto della fiducia; ridona coraggio, riaffida responsabilità, consegna alla missione». Essere pastori allora significa non essere padroni delle persone affidate ai vescovi, ma modelli del gregge e di ogni persona perché «siamo chiamati a far nostro il sogno di Dio, la cui casa non conosce esclusione di persone o di popoli». E significa camminare «in mezzo e dietro al gregge», con la capacità di ascoltare, di saper portare i pesi degli altri, dare speranza «mettendo da parte ogni forma di supponenza». Il desiderio è tornare alla freschezza della Chiesa delle origini, una Chiesa «serva, umile e fraterna».