Paolo VI,un laico sul trono
Quando fu eletto, Giovanni XXIII, ricevendo l’arcivescovo Montini, gli confidò con la sua umiltà intelligente che se quest’ultimo fosse stato cardinale, ora si sarebbe trovato al suo posto. Paolo VI vi si trovò cinque anni dopo (1963) e cominciò da allora a non essere riconosciuto. Triste, indeciso, troppo serio (lui che avrebbe scritto una Esortazione alla gioia cristiana) – dicevano; ma, come accade in alta montagna, a diversi livelli di orizzonte sotto la vetta, chi vede in un modo, chi in un altro: lui era più su. Il papa della mia giovinezza era, con la sua tormentata finezza culturale di cristiano dall’intelligenza superiore immerso nella modernità, un grande giudicato da piccoli. La sua sovrabbondante ampiezza di vedute, scrive benissimo Cristina Siccardi nel suo Paolo VI (Paoline) faceva sembrare gli et-et della sua interminabile mediazione culturale – consapevole della tragica rottura tra Vangelo e cultura nel mondo moderno – indecisione o esitazione, mentre lui ripeteva da vero uomo di profondità culturale e spirituale che bisogna rispettare la complessità dei problemi e delle situazioni; però fronteggiando e non subendo la scena drammatica e magnifica di questo mondo fuggevole, come dirà nel magnifico Testamento. Montini- Paolo VI è stato oltretutto un vero scrittore religioso, uno dei massimi del secolo scorso, il quale, con le sue distrazioni e ideologie e sguaiatezze, non se n’è accorto. Ma dietro un grande che è anche santo (come io credo che il tempo sanzionerà) ci sono grandi genitori: il padre, giornalista e deputato immerso nella questione sociale e politica di inizio secolo, non aveva paura, e gli insegnò a non preferire mai la vita alle ragioni della vita (averli oggi, tanti padri così); la madre lo familiarizzò con lo spirituale più sublime (Teresa di Lisieux, Gemma Galgani): lo slancio era preso, e bastò fino all’enciclica Populorum progressio e alle future pagine più alte e intime. Terzo grande propulsore giovanile, l’Oratorio dei Filippini, libera palestra cristiana non clericale, e gli studi per motivi di salute fuori del seminario; per cui, se dovessi definire un po’ audacemente Paolo VI, lo direi il papa più laico del XX secolo. Salute precaria (per scompenso cardiaco), amore per la natura e gli animali (un giorno li vedremo nel mistero di Cristo), temperamento attivo in un’anima meditativa e tendenzialmente contemplativa, propensione alle profondità radicali: Quelli che sanno ciò che sia la bellezza e quelli che sanno ciò che sia il dolore: tolti questi, nessuno mi interessa. Consapevolezza che solo le altezze sono veramente abitabili, mentre le bassure soffocano; e che attraverso il povero e infermo prisma umano deve vedersi la potente luce di Dio. Da giovane prete scrive a un amico, colpito da una tragedia familiare, che anche lui ha provato momenti nei quali unica speranza, vorrei dire, è la disperazione, ed esorta lui e sé stesso ad accettare dolcemente da Dio il dolore. Uomo di straordinaria e apertissima modernità, riesce incredibilmente a connettere senza forzarli Vangelo, Chiesa e cultura (vitale, mai cervellotica) con tutte le loro distinte inconfondibili ma indissociabili esigenze: sarà questa la chiave di tutta la sua vita, ma soprattutto del suo pontificato conciliare: gui- dare la barca di Pietro tra i marosi del contatto formidabile con la società evoluta e scristianizzata. Aggiornamento e fedeltà, apertura e testimonianza, dialogo e missione: un altro non ce l’avrebbe fatta. La gavetta la guadagnò come diplomatico (involontario) in Vaticano e come assistente nazionale degli studenti universitari cattolici: amicizia e ancora dialogo (la Chiesa si fa dialogo, dirà da papa), apertura e rispetto della laicità, difficili rapporti con il fascismo, inesausta tensione a conoscere e capire il mondo esterno alla Chiesa: Noi ignoriamo questo mondo che ci circonda, (…) lo ignoriamo perché non lo amiamo come si deve; non lo amiamo, perché semplicemente non amiamo (grandi parole del 1927). Si formava in una vastità difficile da misurare un uomo schivo e solidale, privo di compiacenze e assenze clericali, uno spirituale con le antenne protese sul mondo e un poeta della perenne giovinezza del Vangelo dentro e nonostante ogni avversità (a cominciare da quel sé stesso che sempre giudicò, inverosimilmente, oltre che inadeguato, meschino). Non lo era, tutt’altro. Se il lettore di oggi volesse prendere o riprendere il Pensiero alla morte, il Credo steso dall’amico Maritain e da lui perfezionato e compiuto (1968), e l’immortale Testamento, troverebbe un moderno Agostino, un odierno Padre della Chiesa che ha sempre un dono, per ciascuno, di intelligenza e amore, anzi di intelletto d’amore (Dante), offerto in un linguaggio penetrante, affabile, esigente. La sua santità (per ora di servo di Dio, ed è già chiara) mi pare evidente in molti modi; ma uno, che certamente assurge a grandezza visibile e luminosa, è nella preghiera rivolta prima in ginocchio ai brigatisti che avevano rapito Aldo Moro, poi a Dio, a tu per tu, dopo l’assassinio dello statista: Tu non hai esaudito…. Chi parla così non è un clericale che recita o biascica orazioni, ma un uomo (Uomini, siate uomini! , disse) che fronteggia il temporale e l’eterno prima da un seggio di altissima solitudine, poi da una bara di legno grezzo (è niente monumento per me). Se gli uomini di oggi, anziani e giovani, sapessero quale padre e fratello intelligente, sensibile, fine, profondo, intramontabile, sta al loro fianco senza che lo sappiano, senza che se ne accorgano, penso che lo leggerebbero e lo pregherebbero. Scoprirebbero l’uomo attento a ciascuno senza distrazione; il sacerdote pronto ad ogni atto di carità concreta, da solo e insieme al generosissimo e calunniato Pio XII; il cristiano umile e fermo, capace di additare dolcemente a chiunque Cristo lampada della vita; il papa missionario non per conquista ma per desiderio di dialogo con tutta l’umanità, iniziatore dei viaggi apostolici che Giovanni Paolo II continuerà numerosissimi; l’uomo capace, con Atenagora I patriarca di Costantinopoli, di cancellare le millenarie scandalose scomuniche reciproche delle Chiese d’Occidente e d’Oriente; il padre e fratello maggiore, privo di compiacenza e sufficienza clericale, che si pone discretamente a fianco di ogni uomo sofferente e solo.