Paolo è vivo
Si ripercorre la presenza dell'apostolo nell'arte fin dai primi secoli. Centotrenta opere per un testimone d'eccezione.
Si chiude l’Anno paolino, con l’annuncio del papa che sarebbero state ritrovate le ossa dell’apostolo. In contemporanea, il Vaticano riapre la Cappella paolina con gli affreschi restaurati di Michelangelo e il Museo Pio Cristiano esplora la figura di Saulo di Tarso dai primi secoli in poi. Ce n’è abbastanza per documentare la solidità della presenza di un personaggio-chiave della religione cristiana.
La rassegna vaticana, divisa in quattro sezioni, è istruttiva e sorprendente. Inizia infatti con un dipinto che raffigura la basilica dell’apostolo a Roma prima del catastrofico incendio del 1823, dopo il quale fu ricostruita quasi ex novo nelle attuali forme neoclassiche fin troppo candide, diverse dalla ricchezza cromatica del precedente edificio.
Subito dopo, la sorpresa: un sarcofago, recuperato dall’antica basilica, e risalente al IV secolo, dove è raffigurato per la prima volta il martirio di Paolo. Ma non, come siamo abituati oggi sulla scorta di una lunga tradizione iconografica, nell’attimo della decapitazione; bensì nel momento, umanamente forse più terribile, in cui un soldato, sguainando la spada, trascina il santo al supplizio. L’essenzialità dell’arte paleocristiana, drammatica e morbida nel marmo allo stesso tempo, presenta Paolo nella sua testimonianza suprema, ma anche in quella umanità che traspare viva dal suo epistolario.
È sempre in quest’epoca poi che si fissa il “ritratto” dell’apostolo, così come noi lo conosciamo: calvo, la barba appuntita, l’espressione severa. Naturalmente, i tratti originali del volto di Paolo ci sono ignoti, come quelli di Cristo o di Pietro. Per sottolineare il contenuto dottrinale dei suoi scritti, ci si rifà alla ritrattistica dei filosofi, Plotino in particolare, su cui si effettua il calco del volto dell’apostolo. In un vetro dorato, splendente, del IV secolo ci appare il santo con i grandi occhi spalancati (di chi “vede”) e l’espressione seria di un uomo di pensiero, abituato a sondare le profondità del mistero.
Come attesta in un suo diario un prete-viaggiatore del II secolo, Gaio, Paolo è sempre associato a Pietro: «A Roma, presso il Vaticano o lungo la via Ostiense – scrive all’ignoto lettore – troverai i trofei, cioè i sepolcri, dei due apostoli».
Compaiono allora da quel momento, sia in Occidente che in Oriente, i ritratti dove le due “colonne della Chiesa” vengono associate nell’iconografia: Pietro, tratti larghi, folti capelli ricciuti, Paolo, un fine intellettuale. Non è stato facile, è noto, in vita il rapporto tra i due; ma la morte e il comune martirio hanno fatto comprendere come, con diversi carismi, abbiano entrambi saputo vivere e morire per il Vangelo.
Non si contano perciò le raffigurazioni dei due, talvolta anche abbracciati come in un marmo di Aquileia, più spesso in dittici o in affreschi, come risulta dagli splendidi ovali dell’antica basilica di San Pietro, salvati dalla “ricostruzione” rinascimentale e barocca del tempio costantiniano. Ma sarebbe opportuno soffermarsi pure sul dorato dittico dei due santi provenienti dal tesoro del Sancta Sanctorum lateranense, nella cui sopravvissuta cappella ancora oggi si possono ammirare le tipiche raffigurazioni del loro martirio: Pietro crocifisso con la testa all’ingiù, Paolo decapitato, rappresentazioni note lungo i secoli, come dimostra anche Giotto che le dipinse nel Trittico Stefaneschi, un tempo sull’altare maggiore di San Pietro.
Paolo martire, filosofo e maestro, fratello nella fede di Pietro. Marmi, dipinti, bronzi, vetri sono esposti a far viaggiare l’osservatore lungo i secoli, riscoprendo la popolarità immensa di Paolo ed il suo influsso, non solo teologico, ma anche artistico nella storia cristiana.
Ma non c’è solo l’arte. È la sua parola scritta a renderlo presente. La rassegna passa quindi dalle iscrizioni antichissime del II secolo ai codici del IX, come la Bibbia di Carlo il Calvo, fino a quelli rinascimentali: stili diversi, forme espressive variegate e colorate, ma è soprattutto la forza di questa “parola” – frutto di una vita straordinaria – a rendere attuale quest’uomo indomito. Fanno impressione le Bibbie, già dal Settecento, in copto, armeno, cinese, tahitiano. Fino all’ultima edizione interconfessionale in lingua corrente.
Si arriva a fine mostra con una certezza. Quest’uomo è veramente l’apostolo di tutti: anche se non ne conosciamo i tratti fisici originali, ne conosciamo l’anima. È ciò che lo rende ancora vivo fra noi.
San Paolo in Vaticano. Roma, Musei Vaticani e Museo Pio Cristiano, fino al 27/9 (catalogo Tau editrice).