Paolo Borsellino, un eroe
Oggi è il giorno del 23° anniversario della morte del magistrato Paolo Borsellino, morto insieme agli uomini della sua scorta per mano di "cosa nostra", il 19 luglio del ’92, nell’agguato di via d’Amelio a Palermo. Nella strada che lo stava portando dall’amata madre, sotto l’abitazione, era stata posizionata infatti una macchina imbottita di tritolo che è esplosa al suo passaggio. Come ogni anno appare doveroso alla coscienza di noi giornalisti portare alla ribalta la memoria di quest’uomo che non ha solo scritto, insieme al giudice amico Giovanni Falcone, le pagine più importanti dell’antimafia a Palermo, ma che in nome della giustizia, e consapevole dei rischi che correva, si è concesso anche al martirio, e per questo è stato definito, a pieno titolo, un eroe.
Parlare di Borsellino, come di lotta alla criminalità organizzata, non è esattamente però così semplice, perché la realtà dei fatti di ogni giorno ci obbliga a prendere atto di notizie nefaste o tristi con una certa regolarità, come quella che riguarda la figlia di Borsellino, Lucia, da poco uscita dalla giunta Crocetta, dimettendosi dal suo ruolo di assessore regionale alla Salute, proprio per aver notato “un abbassamento di tensione, anche morale” all’interno, e non solo: è fresca la notizia che Matteo Tutino, il medico-chirurgo (oggi in arresto) portato alla ribalta dallo stesso governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, che l’aveva posto come primario a Villa Sofia a Palermo, parrebbe aver detto anche parole pesantissime, in una loro conversazione intercettata, sulla Borsellino, quali: «Lucia Borsellino, va fermata, va fatta fuori come suo padre».
E così l’ex assessore, proprio per “tornare ad essere la figlia di Paolo”, non solo ha lasciato il “carroccio”, ma ha chiesto a tutti di non essere invitata alla commemorazione di via d’Amelio; e così hanno chiesto gli altri figli, Fiammetta e Manfredi (anche se quest’ultimo, ad onor del vero, e a sorpresa, rompendo piacevolmente la scaletta, ha voluto presenziare ad una cerimonia in onore delle vittime della strage di via D’Amelio, presentandosi ieri, giorno 18, nell’aula magna del Palazzo di Giustizia a Palermo per rendere soprattutto omaggio al Capo dello Stato, Sergio Mattarella).
Resta, comunque, un momento difficile per casa Borsellino. Ciò rattrista, ma ha tutta la nostra comprensione, e il nostro appoggio morale. Oltre al dolore inconsolabile della perdita prematura del loro amato padre e da qualche anno anche della madre Agnese, per i Borsellino esiste, infatti, la beffa, oltre che la rabbia, di relazionarsi con una società, quale quella palermitana e siciliana nel suo complesso, che dietro le bandiere della legalità che sventolerà in questa giornata, di legalità ne conosce ben poca.
Eppure, di tutto ciò cosa penserebbe Paolo Borsellino? Forse non si meraviglierebbe. Egli stesso ebbe a definire la Sicilia una “terra disgraziata ma bellissima”; e proprio per quest’amore incondizionato, e a costo della sua stessa vita ha saputo lottare, con la fede e la competenza di un’instancabile investigatore, per un “bene comune”: l’onestà e un’esistenza che valesse la pena d’essere vissuta.
E, allora, amareggiati per questa società che deve ancora fare mille e più passi prima di divenire “umana”, ma forti del messaggio da lui tramandatoci (che occorre vivere, liberati dalla paura, dalle intimidazioni e dalla violenza della Mafia), nel giorno della ricorrenza della sua morte, ci stringiamo idealmente ai figli di Paolo Borsellino, affinché si possa ricordare, in Unità, l’esistenza significativa del loro papà, che a distanza di ben 23 anni fa ancora parlare di sé l’intero Paese Italia. E affinché possano continuare ad essere, come sono, le sue braccia, le sue gambe, la sua voce contro un sistema marcio che deve divenire, e diverrà se ci impegneremo tutti, finalmente sano e risanato.