Paola Severini Melograni, una giornalista per il sociale
Una lunga carriera a sostegno del prossimo, sempre attenta alle ingiustizie, ma con uno sguardo di gioia e speranza verso tutto ciò che viene costruito di positivo e utile. Paola Severini Melograni è stata consigliere per l’Agenzia delle Onlus e ha realizzato molte biografie sui leader del Terzo settore e sui protagonisti del mondo cattolico italiano. Dirige Angeli Press, l’agenzia di informazione sociale premiata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi di cui lei è fondatrice e direttrice.
Giornalista, saggista, conduttrice radiofonica e produttrice televisiva italiana, insignita del prestigioso Premio Saint-Vincent per Angeli Press… insomma, sembra non si faccia mancare nulla!
Devo ammettere che sì, faccio molte cose, anche se credo che dopo tanti anni di lavoro sia normale aver costruito e dover seguire più progetti. Parlando di Angeli Press, senza dubbio abbiamo ricevuto tanti premi, ma soldi pochi. Abbiamo però quello che adesso si definisce lo standing, un’autorevolezza data da anni di esperienza. Ora, ad esempio, sto andando in Senegal, nelle vicinanze di Dakar, perché devo fare uno speciale su una mia amica. Si chiamava Elena Iannotta Malagodi, è morta l’anno scorso a causa del Covid, ma prima ha costruito scuole per bambine con disabilità, una donna meravigliosa. Le ho promesso che avrei seguito il suo lavoro, so che ne sarebbe felice.
Tra le tante cose, devo anche finire di scrivere un libro che riguarda l’esperienza di “O anche no”, una trasmissione televisiva di Rai sociale che conduco. Una realtà assolutamente unica, ne sono orgogliosa. Mi ha insegnato molto e continua a darmi l’opportunità di meravigliarmi di fronte alla forza e alla bellezza delle persone. Ad esempio, sono stata di recente a Livorno per dare una testimonianza in un’iniziativa di sport e ho conosciuto genitori di ragazzi con disabilità che riescono ogni giorno a cambiare la loro vita in meglio, ma soprattutto quella dei loro figli, con grande coraggio.
Qual è stata la ragione che l’ha avvicinata così tanto all’ambito del sociale?
Sono stati fondamentali gli insegnamenti che ho ricevuto dalla mia maestra delle elementari. Si chiama Emiliana Spriano, detta Lilli. Ancora oggi segue il mio lavoro grazie alla televisione. Pensa a quanti anni sono passati e a come sia meraviglioso che lei mi possa ancora dire se le sono piaciuta o meno. La maestra Lilli ha insegnato a me e ai miei compagni ad essere generosi con chi ne aveva bisogno. Ricordo che in classe c’erano delle ragazze con difficoltà. Lei le metteva vicine a quelle che andavano un po’ più veloci nello studio e diceva: “Voi dovete rallentare e aiutare loro, per andare avanti insieme”. Da questo ho compreso davvero quant’è importante un certo tipo di educazione, già dall’infanzia, nei confronti delle ingiustizie del mondo. Anche mio padre mi ha dato veramente molto. Era un medico cattolico tanto generoso, morto giovanissimo.
Immagino ci sia in lei un senso di ingiustizia, nato forse dopo essersi scontrata con una realtà non accogliente nei confronti delle disuguaglianze quanto quella che viveva in classe da piccola, è corretto?
È proprio così. Da giovane mi sono innamorata di un uomo con una disabilità importante, mi sono sposata, avevo appena compiuto 17 anni. Grazie a mio marito ho conosciuto le sue difficoltà, ma anche un mondo meraviglioso che si oppone a una realtà a volte ostile, che era soprattutto quello cattolico del Terzo settore. Li ho conosciuti tutti, da Madre Teresa di Calcutta e Chiara Lubich, fino al cardinale Ersilio Tonini che è stato per me un vero maestro. Sono profondamente cattolica perché ho avuto il dono di vedere come queste persone, preti o laici come me, abbiano avuto la forza di cambiare la realtà intorno a loro.
Essendo lei una giornalista molto attiva nel sociale, volevo chiederle: le è capitato di scontrarsi con qualcuno che ha voluto ostacolare una delle iniziative per cui lavorava?
Gli ostacoli sono stati tantissimi, ci sono molte battaglie da combattere. La prima barriera da superare però è quella di far capire alle persone che facciamo determinate cose perché sappiamo che è la strada giusta, senza ipocrisia e falsità. Nonostante ciò, è vero che bisogna stare molto attenti perché c’è un mondo che usa il Terzo settore, invece dobbiamo essere noi la voce di questo mondo. È tutto molto complesso, mai come ce lo si immagina. C’è un libro che ha scritto un collega, Mario Giordano, di cui io non condivido molte posizioni, però il titolo lo approvo: “Attenti ai buoni”.
La prima cosa da fare per non cadere nei tranelli è avere cautela, verificare, come si fa con tutte le notizie. In questo caso bisogna andare più a fondo per scoprire se c’è altro dietro ciò che sembra meraviglioso. Per esempio, ci sono le grandissime charity (organizzazioni che fanno beneficenza), quelle mondiali e internazionali. Molte di queste destinano la parte più importante dei soldi che raccolgono al sostegno economico della struttura. Questo è grave. Bisognerebbe fare il rovescio, cioè pensare che, ad esempio, di 100 euro, 80 devono andare all’oggetto allo scopo e, se mai, 20 alla struttura.
Quale pensa sia la differenza sostanziale tra un lavoro di giornalista e uno di comunicatore nelle ong (organizzazioni non governative)?
Principalmente quella delle ong è una comunicazione volta al fundraising (raccolta fondi), ma secondo me quello del sociale non è un mondo che si deve basare tutto sui soldi. Sono senza dubbio importantissimi per portare a termine i progetti; tuttavia, al primo posto ci devono essere le persone. Insomma, ci sono ong che vanno bene, ong he vanno molto meno bene e altre che bisognerebbe evitare. Io ho segnalato tante realtà, sono stata commissario dell’agenzia delle Onlus. Poi, è chiaro, si parla di più di 300.000 istituzioni del terzo settore nel mondo e io ne conosco bene qualche migliaio, ma ho degli strumenti, dettati anche dall’esperienza, che mi permettono di analizzarle in modo critico.
Pensa che le ong oggi siano troppe o troppo poche?
In un momento come quello che stiamo vivendo potrei dire troppo poche, ma in realtà si dovrebbero usare anche altri strumenti per risolvere le crisi. Chiaro che il primo è una politica equilibrata, che agisca, in grado di comprendere a fondo rischi e pericoli. Si pensi alla situazione terribile a Lampedusa dove c’è più gente sbarcata che abitanti. Chi doveva costruire una “rete di distribuzione” ben funzionante non l’ha fatto. Eppure, una politica intelligente dovrebbe avere una visione verso il futuro. Si poteva prevedere che tanti paesi dell’Africa sarebbero entrati in grave crisi, dovuta questa alla violenza, alla povertà o al clima.
D’altra parte, ci sono tanti territori nel nostro Paese completamente disabitati e un calo di nuovi nati preoccupante. Avremmo dovuto raccogliere il mondo della migrazione come una risorsa, ma questo implica il selezionare. È chiaro che percentualmente si troverà sempre chi non si potrà mai integrare, però è importante provare a capire se si può dare un’opportunità a loro e, allo stesso tempo, a noi stessi. Alcuni Paesi europei ce l’hanno fatta, come la Francia, anche se presenta realtà irrisolte come la famosa banlieue di Parigi: un insieme di più zone periferiche della grande capitale che somigliano quasi a ghetti.
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