Il panorama del pluralismo religioso in Italia
Fra il ricco materiale che la pubblicazione ci offre, cerco di mettere in evidenza alcuni risultati che, come affermano Luca di Sciullo dell’IDOS (che pubblicano il lavoro annualmente da 27 anni) e Paolo Naso della Università La Sapienza di Roma, ci aiutano a “demolire il pregiudizio allarmistico di una ‘invasione’ islamica in atto”. E’ una politica costante attraverso la quale i media riescono abilmente ad associare nel nostro immaginario l’idea di un ingresso di massa di potenziali terroristi dell’ISIS sul nostro territorio nazionale. Ma come stanno veramente le cose?
A sfatare questa immagine spesso ormai ben radicata in molti di noi, stanno dei numeri che non lasciano adito a dubbi. Infatti dei 5.043.600 stranieri residenti in Italia alla fine dello scorso anno, il 53% risultavano cristiani e solo meno di un terzo (32%) musulmani. Se vogliamo parlare di cifre le cose stanno nei seguenti termini: 2.617.000 sono cristiani e 1.642.000 musulmani. Le altre presenze religiose nel panorama italiano, ovviamente sempre più plurale dal punto di vista etnico, religioso e culturale, sono assai più limitate, nonostante manifestino una consistenza impensabile solo alcuni anni fa. Gli indù sono il 3% con circa 150 mila unità, i buddhisti ancora meno (il 2,3% che corrisponde a 113.900 persone). Più numerosi quelli che potrebbero essere definiti ‘atei’, ‘agnostici’ o, comunque, senza un riferimento religioso preciso: 235 mila circa pari al 4,7% dei migranti residenti nel nostro Paese. Il panorama statistico smentisce, quindi, i ‘profeti di sventura’, che vedono una vera invasione islamica dell’Europa e dell’Italia. Sebbene i musulmani stiano crescendo sensibilmente siamo molto lontani dalle minacce di invasione. E’ opportuno e istruttivo dare uno sguardo anche alla provenienza dei seguaci di religione islamica. Infatti, il 38,6% proviene da Paesi africani dell’area mediterranea (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Palestina) ed un altro 30% dall’Europa centro-orientale (Albania, Macedonia, Serbia, Moldavia ecc.). Altre minoranze musulmane sono quelle che hanno origine in Paesi africani occidentali (il 12%) e nel sub-continente indiano, soprattutto Pakistan e Bangladesh, da dove arrivano circa il 15,4% dei musulmani residenti. Un bel panorama che fa capire anche quanto sia frastagliato il cosmo ‘islam’ in Italia e che spiega la difficoltà ad avere interlocutori che parlino a nome dei musulmani come tali. La presenza musulmana nel ‘Bel Paese’, infatti propone diversi Islam, da quelli della sponda sud del bacino mediterraneo che nell’immaginario occidentale si identifica con tutto quanto viene riferito al termine ‘Islam’ e ‘musulmano’, a quelli dell’Europa Orientale, discendenti dall’Impero Ottomano. Non basta. I musulmani provenienti, per esempio dal Senegal hanno davvero poco in comune con quelli che arrivano da Pakistan e Bangladesh anche se sono tutti parte della Umma musulmana, professano la stessa fede e recitano lo stesso Corano. I loro contesti culturali, tuttavia, sono distanti anni luce.
Come si diceva, i cristiani restano più della metà fra coloro che sono migrati nel nostro Paese e, come si sa, la rappresentanza più consistente in quanto a provenienza, è quella europea con stragrande maggioranza dalla parte orientale del nostro continente, la Romania in testa a tutti (circa il 75%). Fra questi, in quanto a professione religiosa, prevalgono in modo netto gli ortodossi con un milione e mezzo di fedeli, mentre i cattolici sono meno di un milione, a fronte anche di evangelici, luterani e pentecostali. Ma è bene sottolineare come il cristianesimo sia alimentato anche dall’immigrazione proveniente da Sud-America – in particolare l’Ecuador – (12,2%) ed Asia, grazie alle Filippine, (16,2%). Dall’Africa provengono molti cristiani, che rappresentano circa il 35% di coloro che fra gli immigrati residenti sono appartenenti a Chiese evangeliche e pentecostali.
Ci sono, poi, altre religioni, come quelle asiatiche – indù, buddhisti e sikhs – che hanno una presenza piuttosto significativa a seguito dei processi migratori dall’Asia. I sikhs, infatti, provengono al 100% dal sub-continente indiano come pure gli induisti (97,5%). Fra questi ultimi ci sono alcune minoranze esigue di provenienza dall’Africa orientale che a suo tempo, nel secolo del colonialismo inglese, aveva visto una forte migrazione indiana per motivi di lavoro. I buddhisti provengono anch’essi dall’Asia per vie migratorie – in particolare Sri Lanka, ma anche Cina, Vietnam. A questo proposito è importante notare come sia in crescita il fenomeno del buddhismo di ‘casa nostra’, iniziato da lungo tempo. In Europa, infatti, come notava Martin Baumann nel suo Westward Dharma: Buddhism beyond Asia, dopo il grande interesse per le religioni orientali esploso ancora in periodo coloniale e con la nascita della Società Teosofica nel 1875, una svolta è avvenuta con la fuga del Dalai Lama dal Tibet e dal contenzioso con la Cina popolare e il crescente interesse in Europa per il leader del ‘Buddhismo del gioiello’ (come è chiamato il filone tibetano di questa religione). La passione per il buddhismo è poi cresciuta negli anni ’60 e 70’ con lo Zen e la letteratura buddhista e la cinematografia su temi di cultura tibetana. Nel 1960 era nata a Firenze l’Associazione Buddhista Italiana e nel 1967 sono iniziate pubblicazioni sul tema, come la rivista Buddhismo Scientifico. Negli anni Ottanta viene, infine, fondata l’Unione Buddhisti Italiani (UBI) che raccoglie oggi membri di diverse associazioni e movimenti buddhisti che superano le 80.000 persone, come risulta dalla documentazione ufficiale. Questo buddhismo ‘italiano’, che in generale non ha alcun rapporto con quello proveniente dai processi migratori, è in continua crescita, come dimostra anche il raggiungimento dell’intesa fra l’UBI ed il Governo Italiano nel dicembre del 2011. Ad oggi sono una cinquantina i centri che aderiscono all’UBI mentre i seguaci del buddhismo di ‘casa nostra’ si aggirano sui 170.000 da aggiungere ai circa 113 mila provenienti da Cina, Sri Lanka, Thailandia. Circa metà dei buddhisti italiani seguono gli insegnamenti del movimento giapponese Soka Gakkai che nel 2014 ha inaugurato a Milano un centro nazionale – il Centro Culturale Ikeda per la Pace – che è attualmente il luogo di carattere buddhista più grande d’Europa. Questa comunità ha un peso anche a livello sociale ed amministrativo ed ha raggiunto una intesa con il Governo Italiano nel 2016.
Come appare da queste poche pennellate e riferimenti ai dati apparsi sul Dossier Immigrazione, il panorama religioso in Italia è ben più complesso e variegato di quello monocolore islamico che ci viene comunicato con informazioni monocorde. Siamo senza dubbio teatro di un rinnovamento epocale a livello sociale e da Paese pressochè monoetnico (sia pure con piccole e importanti minoranze) stiamo diventando multietnico e, dunque, ci trasformiamo anche in penisola multireligiosa.