Pane e non bombe, perché nessuno si salva da solo
Pane e non bombe. Nel giorno di Natale 2022 Francesco ha ricordato lo scandalo di milioni di persone che soffrono la fame mentre enormi capitali sono destinati alla produzione di armi. Una contraddizione con cui siamo abituati a convivere con il rischio di restare assuefatti alla banalità del male.
Il gesto della marcia della pace introdotto dalla Chiesa italiana nel 1968 esprime un segno di contraddizione nel rito delle festività di fine anno della nostra epoca, dove, come aveva intuito Pier Paolo Pasolini, «il benessere accende, verso sera, in tutti gli uomini, una specie di follia: la smania inespressa di essere più felici di quanto siano …È sempre una speranza che dà pietà» ( “Riscoprire la luce del Natale” 1961).
Quella prima marcia del ‘68 partì dalla cascina della famiglia contadina dei Roncalli, a Sotto il Monte, dove era nato Giovanni XXIII, come ha ricordato recentemente Luigi Bettazzi: «partimmo in marcia verso Bergamo, ventiquattro chilometri e un gran freddo, con la gente che ci guardava come fossimo matti!». Il vescovo Bettazzi è l’ultimo testimone vivente del Concilio Vaticano II e sarà presente anche ad Altamura la notte del 31 dicembre 2022. La bella città pugliese è casa del pane, come lo è Matera e Betlemme… Territori, usanze e culture mediterranee che rivelano la dimensione della condivisione.
Ma questa terra così proiettata ad Oriente porta i segni del conflitto del lungo Novecento che si rivelano, oggi, sempre più attuali, anche se tenuti, finora, segreti o sotto traccia. Il Casale di Altamura è stato luogo di internamento dei prigionieri del primo conflitto mondiale provenienti dall’ex impero austroungarico. Non solo soldati ma anche popolazione civile considerata “austriacante” destinata a subire pessime condizioni di detenzione per poi finire esposti ai focolai di epidemie mortali che accompagnano e seguono la guerra. Oltre 800 morti commemorati nel 1996 con la partecipazione di una delegazioni ufficiale austriaca.
Migliaia di prigionieri alleati di numerose nazionalità furono inoltre internati nel Campo 65 durante la seconda guerra mondiale.
Di segretezza bisogna invece parlare con riferimento alla presenza di postazioni per missili nucleari diffusi una vasta area che racchiude diversi siti pugliesi e materani, poi smantellati grazie all’accordo siglato nel 62 tra Kennedy e Krusciov dopo il lungo braccio di ferro sulle postazioni missilistiche russe a Cuba.
Come ha detto lo storico Arthur M. Schlesinger Jr., consigliere dell’amministrazione di John F. Kennedy, «non è stato solo il momento più pericoloso della Guerra Fredda. È stato il momento più pericoloso nella storia umana».
Dobbiamo ad Alessandro Marescotti, di peacelink, la divulgazione ordinata e puntuale delle fonti che confermano la presenza, tra Puglia e Basilicata, di missili a testata nucleare che sono rientrati, al pari di quelli collocati in Turchia, nella trattativa dei due presidenti in contrasto con i rispettivi apparati militar industriali delle superpotenze protagoniste della Guerra fredda.
Ed è da Altamura che si leva di nuovo un appello ad abolire la presenza di armi nucleari dal pianeta davanti ad un pericolo niente affatto remoto. Basta leggere i bollettini di guerra del vicino fronte ucraino dove ogni appello a fermare il massacro in atto viene rifiutato da tutte le parti in nome della pretesa di arrivare alla vittoria. Costi quel che costi.
L’Italia, da parte sua, resta fedele, a prescindere dal colore dei governi, alla dottrina della Nato che non intende in alcun modo neanche discutere del trattato Onu del 2017 che pone al bando le armi nucleari.
Che reale incidenza avrà, a partire dalla notte del 31 dicembre 2022, il rinnovo dell’appello alla ratifica di questo accordo internazionale che arriva da un gran numero di realtà cattoliche che sostengono la campagna della coalizione internazionale Ican, Nobel per la pace 2017, sull’abolizione delle armi nucleari?
Il vescovo di Altamura, Gravina e Acquaviva delle Fonti, Giovanni Ricchiuti non ha avuto timore ad esporsi e prendere posizione in questi anni di presidenza del movimento Pax Christi. Non si è nascosto nel denunciare la responsabilità dei governi italiani incapaci di fermare l’invio di bombe verso l’Arabia saudita per la guerra in Yemen. Lo abbiamo visto andare in Ucraina con la carovana Stop the war now e affrontare il fuoco delle dei dibattiti televisivi.
La sua serena semplicità è in diretta continuità con un tratto che ha distinto il vescovo di Molfetta, Tonino Bello, figura emblematica di pax Christi e di una Chiesa, come ha scritto il sociologo Franco Cassano, che è «una comunità-madre in cammino, che marcia verso il superamento delle ingiustizie, è una comunità calda, dove ci si chiama per nome, dove il leader non ha scranni elevati, ma ritrova la sua funzione ogni giorno nella capacità di guidare l’esodo». Secondo Cassano l’abbandono di titoli e nomi onorifici, «chiamare il proprio vescovo “don” è indizio di una comunità sottosopra, di una comunità continuamente in esodo, perché continuamente alla prova».
E tra le prove evidenti esiste la necessità di non accettare che l’Italia e in particolare il Sud, e quella parte del suo territorio orientale della Puglia, si trasformi in una piattaforma logistica per la guerra, un avamposto bellico invece che un’arca di pace nel Mediterraneo. Esiste tutta una riflessione profonda sul destino di un’intera area culturale che attraversa le nazioni in nome di una profonda comunione che rischia sempre più di essere dilaniata, con i territori trasformati in luoghi di frontiere ostili da difendere in ogni modo.
La pandemia ha segnato la possibilità di cambiare direzione. In molti hanno ancora presente la preghiera di papa Francesco il 27 marzo 2020 in una piazza San Pietro deserta: «non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».
Il messaggio per la giornata della pace del primo gennaio 2023 ripete ancora che «non ci si può salvare da soli». Il virus della guerra è più difficile da debellare perché non è esterno ma trova origine nel cuore umano. L’invito forte di Francesco è quello di cambiare il cuore, «di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà».
La marcia di Altamura affronterà, con l’intervento di Nicoletta Dentico, il nodo irrisolto dell’accesso universale alla cura, negato da una concezione proprietaria dei farmaci, frutto in realtà del lavoro collettivo dei ricercatori scientifici.
Diseguaglianze inaccettabili e logiche di accaparramento sono all’origine della guerra che devasta il mondo a partire dai numerosi conflitti, spesso dimenticati, che si saldano tra loro portando l’umanità davanti all’abisso del punto di non ritorno. Dare voce, come previsto nella marcia, agli obiettori di coscienza russi e ucraini vuol dire indicare una via della ragione davanti alla follia.
Prendere coscienza di questa elementare verità è un passo necessario per cambiare direzione. «O tutto comincia o tutto finisce», diceva con estremo realismo Giorgio La Pira.
Pane e non bombe. L’opera segno che verrà promossa durante la marcia della pace è, infatti, l’apertura nel 2023 di un forno sociale da parte di una cooperativa di comunità attiva nel distretto agroecologico delle Murge e del Bradano. Perché non si possono separare i gesti della vita quotidiana da una scelta radicale di pace che emerge da questo lembo di terra disposto verso Oriente
Qui il programma della marcia del 31 dicembre e qui la conferenza stampa di presentazione della Marcia