Pane e fichi a mezzogiorno

Le sorprese che capitano andando a zonzo per Vescovado, quartiere storico di Catanzaro
Raffigurazione della Madonna sulla chiesa di Santa Maria de Meridie

«Ma io queste facce le ho già viste!», m’è venuto spontaneo pensare ammirando un dipinto di Battistello Caracciolo. Raffigura la Madonna col Bambino in gloria e faceva parte di una più ampia tela, come denota il taglio in basso a destra che ha risparmiato solo le teste di Caterina d’Alessandria e Caterina da Siena. Reinterpretando la Madonna caravaggesca delle Sette Opere di Misericordia conservata a Napoli, Caracciolo ha raffigurato la Vergine col Bambino china verso le due sante, come ad ascoltarne l’intercessione. Le fanno corona 6 angeli i cui modelli l’artista di origine partenopea ha preso di sicuro dalla strada: almeno i due dalle facce in piena luce, all’origine della mia sorpresa, sono autentici scugnizzi che non ingannano nessuno con quelle ali posticce.

 

Questo quadro facente parte delle ricche collezioni del Museo delle Arti di Catanzaro (MARCA) mi tornerà in mente più tardi. Intanto impiego il tempo a disposizione per visitare il centro storico di questa città sfuggente, impossibile da abbracciare con un colpo d’occhio solo, abbarbicata com’è su 3 colli rocciosi separati da profondi valloni collegati da ponti e svincoli serpentiformi.

 

Tra il IX e il X secolo, dopo la riconquista bizantina della Calabria, la favorevole posizione attirò su queste alture i primi coloni greci: furono loro a intraprendere la lavorazione di quella seta che, col tempo, avrebbe reso la città un centro di primaria importanza per i suoi stupendi velluti, broccati e damaschi.

 

All’epoca, Catanzaro doveva essere circondata da estese coltivazioni di gelsi, indispensabile cibo dei bachi produttori del prezioso filo tessile. Sparite quelle, a ricordarle oggi restano nel cuore del Vescovado – il quartiere che sto perlustrando – i vicoli del “Gelso bianco”.

 

Appena fuori dal corso principale su cui prospettano dignitosi palazzoni ottocenteschi o del primo ’900, m’è parso di entrare in un altro mondo. Alla via elegante e animata hanno fatto da contrasto la quiete, l’abbandono quasi, dell’intrico di viuzze e slarghi che col loro percorso tortuoso assecondano l’andamento di questo colle.

 

Qui, dove a un’edilizia recente e senza pretese si alternano palazzi signorili che nei portali e stemmi di pietra intagliati sfoggiano l’abilità degli scalpellini di un tempo e la fantasia dello stile barocco, sarebbe vano cercare chiese monumentali come la basilica dell’Immacolata o lo stesso duomo; in compenso le dimesse chiesette incastonate nella congerie di abitazioni pigiate o sovrapposte come in un presepe sembrano parlare, pur rimanendo chiuse, di un Dio più familiare e vicino al popolo: è l’effetto che mi hanno fatto Sant’Omobono, nelle cui pareti in pietra si legge l’origine normanna, Santa Maria in Siclis, attestante la presenza di una colonia siciliana, ma soprattutto Santa Maria del Mezzogiorno, eretta proprio sul  limite dello strapiombo.

 

Santa Maria de Meridie: l’insolito titolo mi invita a leggere su una tabella turistica la storia di questo piccolo santuario dedicato a Maria Assunta e sopravvissuto ad antichi terremoti nonché a moderni bombardamenti.

 

Secondo la tradizione, mentre infieriva una terribile carestia (siamo nel periodo della nascente Catanzaro, l’Alto Medioevo), una bellissima signora apparve a mezzogiorno su un albero di fico in un orto nei pressi dove sarebbe sorta la chiesetta. Identificata come la Madonna, prese a distribuire agli affamati del luogo – ai bambini in particolare – pane e fichi. Per più giorni si ripeté la scena meravigliosa, oggi riprodotta in un affresco moderno su una parete del campaniletto: modesto esempio d’arte popolare al quale mi si sovrappone  la bellissima tela in cui Battistello Caracciolo ha effigiato il chinarsi di Maria col Bambino – ieri come sempre – sui bisogni dell’umanità.

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