Il pane col sapore di bosco
Il 5 febbraio 2020 si è celebrata la 7° giornata nazionale per la prevenzione dello spreco alimentare. Un problema di grande rilevanza se si pensa che, secondo le stime diffuse dalla fondazione Enpam, ogni anno nelle nostre case vengono gettate via 2.200.000 tonnellate di cibo (pari a quasi 37 kg per ogni cittadino italiano); per un valore di oltre 15 miliardi di euro, pari a quasi un punto di Pil.
Al di là delle numerose iniziative che verranno messe in campo per l’occasione – convegni, pranzi e cene realizzati unicamente con cibo recuperato, azioni di sensibilizzazione – ci sono diversi progetti che vengono portati avanti anche indipendentemente da questa ricorrenza, pur condividendone lo spirito; tra cui alcuni abbastanza curiosi. È il caso ad esempio del pane con la farina di corteccia di abete realizzato dallo chef Alberto Basello del ristorante Il Fogolar Là di Moret (Udine), presentato nel capoluogo friulano lo scorso 30 gennaio in occasione dell’inaugurazione delle cucine dell’Ires – ente di ricerca e formazione che porta avanti, tra l’altro, corsi di cucina del recupero.
In realtà il progetto è partito tre anni fa, ha raccontato Basello, ed è nato da un’idea non nuova: già nel passato infatti, specie in tempi di carestia, in Friuli si usava ricavare dalla corteccia degli alberi una farina con cui “tagliare” la più preziosa farina di frumento per fare il pane. Dopo la tempesta Vaia, che a fine 2018 ha pesantemente colpito il Triveneto lasciando a terra una quantità enorme di alberi – nonché le prospettive economiche di buona parte degli operatori del territorio – il progetto ha conosciuto un nuovo slancio: «Poco dopo l’accaduto – ha raccontato Basello – abbiamo preso accordi con la Guardia Forestale per recuperare i tronchi di abete bianco e abete rosso caduti nella zona dello Zoncolan e di Sappada. L’idea era naturalmente quella di utilizzare legname che altrimenti sarebbe rimasto a terra, non essendo adatto ad altri usi, ed essere di aiuto alle zone colpite; però abbiamo anche allargato la proposta di utilizzare questa ricetta ai panifici di montagna. Riteniamo che questo prodotto abbia il potenziale di attrarre visitatori in questi territori».
La parte più interna della corteccia viene macinata per ricavarne una farina – certificata dall’Università di Padova per utilizzo alimentare – e poi miscelata con farina integrale bio di frumento; per realizzare un pane dai sapori (e chi scrive lo ha assaggiato) davvero “di bosco”, che ricordano il legno e il muschio. La farina peraltro, ha precisato lo chef, non è sempre uguale: «Varia da stagione a stagione, da albero ad albero. Per cui anche il pane è sempre diverso». La parte più esterna della corteccia viene invece utilizzata per fare dei piccoli supporti per il finger food (sorta di mini-piattini su cui mettere i cibi serviti in piccolo formato, a mo’ di stuzzichino) o nel centro benessere dell’hotel annesso al ristorante.
Non propriamente un progetto di recupero di scarti alimentari, si dirà, ma comunque inserito nella stessa filosofia; che Basello usa peraltro in altri piatti, come ad esempio le zuppe realizzate con il pane avanzato il giorno prima (e non dite “mia nonna l’ha sempre fatto”: lo so, anche la mia, però nei ristoranti d’alto bordo non è così scontato). In questo senso dunque, come hanno osservato sia Basello che il vicepresidente dell’Irea, Marco Pascolini, la filosofia dello chef e quella dell’ente di formazione si sono sposate perfettamente: quest’ultimo infatti porta avanti corsi come quelli già citati di cucina di recupero, cucina naturale e della tradizione con prodotti locali, mirati in particolare a percorsi di reinserimento sociale di persone in difficoltà.