Panchine saltate
In serie A solo otto allenatori sono rimasti al proprio posto dall’inizio alla fine del campionato,un avvicendamento che non sempre ha avuto risvolti positivi
Leonardo lascia il Milan, ma almeno lo fa dopo aver condotto la squadra dall’inizio alla fine della stagione. Quasi un’impresa, con i tempi che corrono. Sì, perché quella appena conclusa è stata un’annata record dal punto di vista delle panchine saltate. In serie A, infatti, solo otto allenatori sono rimasti al proprio posto dall’inizio alla fine del campionato, mentre per quanto riguarda gli altri dodici club, si è arrivati a un totale di ventotto tecnici succedutisi nel corso della stagione. Una cifra pazzesca.
Andando più nel dettaglio, si contano quindici esoneri e soltanto due dimissioni, a conferma che nella stragrande maggioranza dei casi le sorti di un tecnico dipendono esclusivamente dal presidente (o massimo dirigente, a seconda dell’organigramma del club) di turno. Fatto ovvio, perché è quest’ultimo a mettere mano al portafogli, ma un pizzico di riflessione in più non farebbe certo male. Lo ha sottolineato anche Renzo Ulivieri, presidente dell’Assoallenatori, che ai presidenti ha chiesto freddezza, lucidità e capacità di analisi. Desiderio legittimo: non sempre, infatti, il cambio di allenatore ha cambiato le sorti del club in questione.
Il caso più eclatante è quello della Juventus. Dall’esordiente Ciro Ferrara all’esperto Alberto Zaccheroni, ma nessun cambio di rotta, segno che i problemi dei bianconeri erano di ben altra natura. Il trend delle panchine saltate, però, ha coinvolto allo stesso modo club blasonati e piccole società, con risultati opposti. Se Livorno, Atalanta e Siena non sono riuscite ad evitare la retrocessione in B nonostante i tanti cambi di guida tecnica (sette per tre sole squadre…), l’impresa è riuscita a Bologna (da Giuseppe Papadopulo a Franco Colomba), Catania (da Gianluca Atzori a Siniša Mihajlović) e Lazio (da Davide Ballardini a Edy Reja). Caso particolare quello dell’Udinese, la cui salvezza è stata ottenuta grazie a Pasquale Marino, “sostituito” per otto turni (dal 18esimo al 25esimo) da Gianni De Biasi. Ancor più singolare la cacciata dalla panchina del Cagliari, avvenuta a poche giornate dal termine del campionato, di Massimiliano Allegri, colpevole (a detta del presidente Cellino) di essersi fatto distrarre dalle sirene di altri club in vista della prossima stagione.
Come detto, però, non sono mancati gli “avvicendamenti positivi”. Su tutti, quello di Roma (sponda giallorossa), con le dimissioni di Luciano Spalletti, l’arrivo di Claudio Ranieri e la straordinaria rimonta che ha reso incerto il campionato fino all’ultima giornata. Ottimo anche il lavoro svolto a Palermo da Delio Rossi (subentrato a Walter Zenga) e a Napoli da Walter Mazzarri (dopo l’esonero di Roberto Donadoni), capaci di portare siciliani e partenopei in Europa League (ex Coppa UEFA).
Detto questo, il confronto con gli altri maggiori campionati europei resta impietoso. Cinque soli avvicendamenti nella Premier League inglese e sette nella Liga spagnola.
La motivazione e le possibili soluzioni a questo fenomeno tutto italiano le spiega lo stesso Ulivieri: «La colpa è del nostro sistema calcio, perché all’allenatore di oggi si richiede tutto e subito. Penso che il tecnico debba riappropriarsi del proprio lavoro e ritornare a esercitare con durezza la sua autorità». E i presidenti, aggiungiamo noi, avere un po’ più di pazienza.