Palmyra, una visione nel deserto

Fra i siti archeologici più celebri del mondo, la città delle palme in Siria merita di essere ammirata o all'alba o al tramonto
Palmyra Siria

E’ la principale meta turistica della Siria e fra i siti archeologici più celebri del mondo. C’è chi affronta ogni sorta di disagi pur di ammirarla nella luce ideale di un’alba o di un tramonto, allorché le sue rovine sembrano riprender vita tingendosi di rosa e di arancio e i suoi colonnati si accendono come fiaccole.

 

E’ Palmyra, l’antica città carovaniera che sotto la mitica Zenobia visse una stagione splendida e tragica: solo all’apparenza una delle tante metropoli ellenistiche, ma con aspetti originali ed unici per la capacità dei suoi abitanti – discendenti da popolazioni arabe fiere della propria cultura – di reinterpretare gli schemi dell’arte classica, peraltro già filtrati dall’Oriente, a costo anche di formule ardite.

 

Ciò appare evidente nel santuario di Bel, che richiama un tempio assiro con quei merloni sul tetto piano che sembrano addentare il cielo; nello schema urbanistico che si discosta da quello classico greco-romano; nelle dissonanze di certe sculture, la cui potenza espressiva è slegata dalle norme occidentali; oppure nelle inclassificabili torri funerarie, le cui lapidi recano sovente scolpito un velo fra due rami di palma; allusione alla relazione, anche se attraverso una tenue barriera, tra mondo visibile e invisibile, tra tempo ed eternità?

 

E a proposito di velo: a sollevare quello simbolico che avvolge la bellezza di questa città si è provato Gianfranco Micheli col suo bel volume La visione di Palmyra (Pendragon Ed.). Non è una guida archeologica e neppure un libro di viaggi. È un’esperienza vissuta "dall’interno", quella offerta da questo architetto attento conoscitore del Medio Oriente, dove ha studiato altre antiche città del deserto. L’emozione estetica che qui si produce è un tutt’uno con la sensazione di trovarsi in un luogo "sacro". «Spesso il valore di universalità che l’arte possiede l’avvicina al senso primario delle religioni, quello di presentare il senso originario della vita», conferma Micheli nella sua ricerca degli elementi che determinano la sacralità di Palmyra.

 

Sorta presso una sorgente, in un’oasi simbolo di vita e intorno ad un santuario che, per i popoli mesopotamici, era «legame tra cielo e terra», la città esprime la priorità dell’aspetto religioso, la visione dell’esistenza di un popolo per il quale «lo spazio costruito è il rifugio dopo il deserto, sollievo della meta, l’oasi come giardino-paradiso». Quella grandiosità che nei romani era dettata dalla volontà di celebrare la grandezza dell’Impero, qui invece esprime la tensione verso il divino e il sentimento di religiosa partecipazione agli eventi della natura. Una natura di cui la città stessa sembra sostanziata per i suoi materiali color deserto, laddove l’abbacinante biancore dei marmi avrebbe disturbato.

Armonia di un luogo dove nessuna forma artistica eccelle sulle altre, quasi per «un movimento orchestrale in cui ogni assolo è parte integrante dell’opera generale. L’afflato e l’orgoglio di un popolo culminato con una regina guerriera; una cultura forte in una forma aggraziata: questo esprime l’arte di Palmyra».

 

La città delle palme. Questo il significato del nome dato dai romani all’antica Tadmor (nome semitico che vuol dire "città dei datteri"). Essa sorge in un’oasi nel cuore del deserto siriano raggiungibile da Homs e Damasco, all’estrema propaggine dei monti dell’Antilibano.

Tappa indispensabile per le carovane che dal Mediterraneo si dirigevano verso i Paesi del Golfo Persico, era anche crocevia lungo l’antica Via della Seta che univa Cina ed India all’Europa. Di qui la sua prosperità che crebbe ulteriormente per l’appoggio dato a Roma nella guerra contro i parti.

Divenuta nel 212 colonia romana, con tutti i privilegi connessi, la città si arricchì di splendidi edifici, riuscendo comunque a mantenere la propria indipendenza culturale.

L’apogeo fu toccato con la sua trasformazione in un regno retto da Odenato, mentre il declino iniziò con l’assassinio di costui nel 256, allorché sua moglie Zenobia assunse il potere contro il volere di Roma.

Sconfitto l’esercito romano, l’ambiziosa regina arrivò a controllare Siria, Palestina ed Egitto: ma a sua volta sconfitta dall’imperatore Aureliano, che dopo aver stretto d’assedio la città attuò una repressione spietata, fu tratta in catene ad ornare il suo trionfo nell’Urbe. Cosi, nel 272, finì la gloria di Palmyra.

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