Palmieri (Fi): «Prima la rappresentatività, poi la governabilità»
Italicum, Mattarellum, Consultellum e Rosatellum: il rebus sulla legge elettorale è tornato in primo piano nell’agenda politica: se Pd, Fi e M5S – come sembra ad oggi che scriviamo – troveranno la quadra su un sistema proporzionale con correttivi, ribaltando l’Italicum bocciato in parte dalla Consulta, allora la prospettiva di un voto anticipato, prima della fine naturale della legislatura nel 2018, si farà più concreta. Rassicurato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che vorrebbe mettere al riparo dalle turbolenze di governo la prossima legge di stabilità, e dato per scontato il consenso del premier Gentiloni, sul percorso non dovrebbero esserci ostacoli significativi. A parte l’ostruzionismo interno al turbolento Pd renziano, che però al momento non sembra preoccupare il segretario.
In effetti è da tempo che si preparano programmi e squadre di governo. Lo fa il Pd, il M5S, e Forza Italia, il cui leader Silvio Berlusconi non sembra più preoccupato dalla sentenza in arrivo dalla Corte di Strasburgo che potrebbe riabilitarlo all’agone politico: sarà in campo, comunque, ha assicurato.
Per un focus sul programma di governo, le alleanze e il dibattito in corso abbiamo sentito Antonio Palmieri, deputato milanese di Forza Italia, responsabile internet e nuove tecnologie del partito, tra i fondatori dell’intergruppo parlamentare sull’innovazione e coordinatore di quello sulla sussidiarietà, sempre caratterizzato dalla appartenenza dei componenti a quasi tutti i partiti presenti nelle due Camere.
Onorevole, il programma elaborato da Forza Italia per le prossime politiche è chiamato l’Albero della Libertà: meno fisco, meno Europa, più sicurezza e attenzione ai bisognosi (poveri e famiglie) e una seconda Lira. Si vuole corteggiare la Lega e depotenziare il M5S. Su quale piano ci si confronta col Pd?
«Innanzitutto è un piano coerente con tutti i nostri programmi e con quello che abbiamo realizzato quando siamo stati al governo, per altro con la Lega. Quindi si tratta solo di adeguarlo al fatto che i tempi sono cambiati e che viviamo in un mondo che non è più quello del 2008 né tantomeno quello del 2001 o del 1994. È un programma con la lega con e gli altri alleati, e alternativo a quelli dei 5 Stelle, del Pd e della sinistra. La chiave di lettura è sempre la stessa: proporre un programma chiaro, comprensibile a tutti, basato sul presupposto fondamentale di avere “meno Stato e più società”».
In tema di immigrazione si parla di sicurezza, ma non di integrazione e accoglienza. Basta per affrontare l’emergenza?
«Quando eravamo noi al governo avevamo praticamente azzerato gli sbarchi con la politica degli accordi con la Libia, ma anche con altri Paesi del Mediterraneo, per fare in modo che i trafficanti di uomini non potessero più esercitare il loro lavoro; e la stessa cosa avevamo fatto prima con il traffico che veniva dall’Albania. È certo che chi è qui deve essere integrato nella regolarità, che vuol dire rispetto delle nostre leggi, della nostra tradizione culturale, che è di origine giudaico-cristiana, rispetto della Costituzione. Ricordo che noi siamo stati quelli che assieme alla legge Bossi-Fini nel 2003 abbiamo regolarizzato 650mila lavoratori immigrati che erano nel nostro Paese come irregolari, proprio perché il lavoro è la prima forma di integrazione. E il secondo luogo di integrazione è la scuola».
Sulla proposta di introdurre una seconda Lira per il commercio interno, e lasciare l’Euro per gli scambi da e verso l’estero: l’uso di una doppia moneta non potrebbe mettere in difficoltà una fetta della popolazione? Magari gli anziani o coloro che hanno una minore preparazione culturale.
«Berlusconi fa sempre l’esempio della seconda Lira che circolava all’indomani della seconda guerra mondiale, quindi le persone più anziane avrebbero il vantaggio del ricordo e di esser stati abituati a vivere con la doppia moneta. Anche in Francia – se ricordo bene – avevano una sorta di “doppia Lira”. In Italia ci sono esperimenti di monete complementari da diversi anni in diverse regioni che stanno dando un buon risultato favorendo le aziende sane e una corretta rimessa in moto dell’economia domestica. Per cui non è una proposta improvvisata ma serve certamente un tempo di rodaggio: credo che se le cose si faranno con chiarezza non ci saranno difficoltà».
Nel dibattito sulla legge elettorale emergono troppi tatticismi. Sembra lontana la ricerca del sistema migliore per il Paese, che garantisca governabilità e rappresentanza. Quali dovrebbero essere i principi su cui muove la discussione di una legge elettorale?
«I principi sono quelli che Berlusconi ha affermato: in una società tripolare dove è necessario che i governi siano il più rappresentativi possibile non si può fare una forzatura maggioritaria, proprio per non escludere nessuno. È poi che c’è anche l’esigenza di una governabilità, e per questo ci si confronterà proponendo ai cittadini un’offerta convincente che possa portare ad un risultato sostanzioso che consenta al centrodestra di tornare a governare da solo. I margini ci sono e noi lavoreremo su questo. Ma l’iter della legge è ancora lungo, speriamo che si possa raggiungere un accordo su un sistema che possa tenere per tanti anni».
Nella costruzione della legge elettorale, fondamentale è anche garantire un rapporto equilibrato fra eletti ed elettori. Forza Italia chiede la presenza di capilista bloccati, mentre è contraria al voto di preferenza. Che valore dare a questi due aspetti?
«Secondo la nostra proposta, con i collegi il capolista ha comunque un rapporto con il territorio, così come era con il Mattarellum. La mia storia personale è quella di un milanese candidato nel collegio di Cantù nel 2001, e che tra il 2001 e il 2014 ha portato sul territorio più di 8 milioni di euro in opere, strade, piazze, asili, impianti sportivi e di illuminazione. Ho fatto oltre 230 incontri pubblici sul territorio. Anche con il Mattarellum il candidato era imposto dalle coalizioni sul territorio; l’Italicum – come si sa – con il collegio vincola il capolista a un territorio. Lo nostra proposta ulteriore è che anche gli altri che si candidano in quel collegio non corrano con le preferenze, ma che lo stesso collegio sia suddiviso in porzioni ancora più piccole nelle quali corrano il secondo, il terzo, il quarto della lista, ciascuno in una porzione di collegio ristretta. Questo favorirebbe ancor di più un rapporto con gli elettori. La sintesi è che non è la preferenza l’unico strumento per un rapporto stretto con l’elettore. Il collegio è uno strumento che mette al riparo dai pericoli insiti nella preferenza, che soprattutto in alcune regioni d’Italia, purtroppo, può essere scalabile da realtà ostili alla democrazia e malavitose. Quindi la miglior formula è quella di legare l’eletto ad una singola porzione di territorio in modo che si favorisca anche un rapporto di corrispondenza. Il mio è un caso particolare, in genere si tende a candidare nei collegi persone che siano rappresentative soprattutto nei centri urbani minori. Nelle grandi città è tutto più confuso ma vale con tutti i sistemi elettorali».
Molto è lasciato dunque all’iniziativa dell’eletto?
«Inevitabilmente molto dipende dalla serietà dell’eletto e dal fatto che le forze politiche locali coinvolgano l’eletto al Parlamento in azioni per il territorio. Quando è stato così per me ho potuto essere una risorsa per il territorio. Se c’è meno partecipazione e attenzione è più difficile creare questo rapporto».
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