Palladio architetto della libertà Palladio, architetto della libertà
La Villa Barbaro a Maser, nel Trevigiano, scende dalle colline asolane come una onda. Al centro, l’ambiente padronale in forme classiche col timpano decorato; ai lati le barchesse – i magazzini della tenuta agricola – curvilinee, si aprono in portici ad abbracciare la pianura che vi si distende di fronte, dando una calma serena ad una costruzione che è azienda e villa di campagna per i veneziani fratelli Barbaro, umanisti di grande levatura. L’impressione è di una armonia fra colline e pianura, dimora patrizia e centro di lavoro agreste. Si respira un senso di libertà grande, adatta all’uomo. Se poi, salendo al piano nobile, l’occhio scorre sugli affreschi primaverili di Paolo Veronese – fra mitologie, vedute e ritratti di animali, bambini, domestici -, ci si accorge che simili ambienti non possono esser decorati che in questa maniera, perché per Palladio natura e umanità stanno bene insieme come le stanze e i portici, i dipinti e le statue di Alessandro Vittoria nei giardini e nelle fontane. Egli infatti pensa sempre in modo unitario, tanto da far sembrare naturale ciò che è frutto di studio e di ricerca (e lo dimostrano i Quattro libri dell’architettura che pubblicherà ormai anziano). Lo si nota pure percorrendo il celebre ponte ligneo di Bassano, nel Vicentino. Un audace intreccio di strutture solide a dominare il flusso torrentizio del fiume Brenta, unendo le due parti della cittadina e idealmente legando monti (il massiccio del Grappa), acque e colline. Questa vocazione a legare, ad unire, la si ritrova in quella invenzione affascinante che è la villa per il nobile Almerico Capra, presso Vicenza, chiamata la Rotonda. Bianca sul colle, da lontano è un punto luminoso fra le alture che sembrano salire e discendere da essa e in essa. Vista da vicino, la perfezione della pianta centrale, con la cupoletta memore del Pantheon e le quattro facciate dal pronao col timpano classico, danno la sensazione di un equilibrio di masse, linee e luci immacolate che quasi stordisce. Lieve di primavera, calda come un Giorgione d’estate, candida d’inverno e dolce in autunno, vive le diverse vite della natura cui l’uomo si uniforma (si uniformava?), ricavandone pace. Di qui, la certezza di qualcosa di così bello, da non poter immaginare altro di simile. Come il Teatro Olimpico a Vicenza, che ricorda le costruzioni antiche nella pianta e nelle decorazioni – straordinario il fondale con la fuga prospettica delle vie -: un ambiente interno che concilia familiarità con fasto, gusto estetico raffinato con perfezione tecnica e acustica. Prosa e musica possono, ora come allora, esprimersi con una signorilità di sentimento che rende unici questi luoghi. Luoghi fatti per l’uomo e le espressioni del suo spirito, come ancora è possibile sperimentare. E, a questo proposito, c’è una invenzione palladiana in quella città particolare che è Venezia. Dalle campagne dell’entroterra dove aveva edificato per la vita dei nobili in villa centri di laboriosa convivenza, l’architetto si confronta con la città della luce. Fa della basilica di San Giorgio maggiore, nell’isola omonima di fronte a San Marco, uno specchio che, nelle cadenze di una semplice costruzione a croce latina sormontata da una cupola, riflette i bagliori senza colore (perché tutti assomma in uno solo, il bianco) di un lume che il vento e il mare rendono accecante. San Giorgio si eleva leggero nella facciata mossa da colonne e nicchie con statue, e continua all’interno a ritmarsi in superfici candide e lineari. Ma poi esplode, nel presbiterio, incontrando i dipinti surreali del Tintoretto, la cui Ultima Cena si anima di fantasmi. Ne nasce una polifonia di colori che appare la risposta al canto limpido delle superfici della chiesa, all’arte composta, ma forte, di Palladio. Sino alla fine – muore nel 1580 – teso ad accordare architettura, pittura e scultura, cioè le diverse forme d’arte, nell’unica espressione di una bellezza per l’uomo. A farlo vivere in pace, con la natura e con i suoi simili. Logico che un creatore tanto geniale – e semplice – continuasse a parlare lungo i secoli, nelle migliaia di ville, chiese, palazzi palladiani, dall’Europa al Nordamerica. Spesso senza la sua pulizia mentale. Ma, almeno, nella ricerca di trovare, nell’imitazione dello stile, una possibile nuova armonia. L’ANNO PALLADIANO L’artista padovano è celebrato in una rassegna di oltre 200 lavori (disegni originali, dipinti, libri, manoscritti, mappe, monete e modelli architettonici), in convegni, concerti e visite guidate ai suoi luoghi per tutto il Veneto. Interessante pure la rivisitazione della sua biografia, che presenta l’uomo e il suo tempo. Per informazioni: info@studioesseci.net