Pakistan: povertà, scuola e lavoro minorile

Nuova presa di coscienza del governo pakistano di fronte alla carenza di istruzione dei bambini e all’abbandono scolastico. Sarebbero 26 milioni i bambini pakistani che non frequentano la scuola, il 39% dei minori di tutto il Paese. Un dato inquietante che rimanda alla piaga del lavoro minorile.
Una classe di Peshawar, Pakistan. ANSA/BILAWAL ARBAB
Una classe di Peshawar, Pakistan. ANSA/BILAWAL ARBAB

La carenza di alfabetizzazione e scolarizzazione è una delle piaghe che, quasi in tutto il mondo, colpisce la popolazione infantile – e non solo –, ledendo uno dei diritti umani fondamentali, ribadito dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: il diritto ad una educazione di qualità, equa ed inclusiva. E ad opportunità di apprendimento per tutti.

Recenti dati dell’Unicef stimano che nel mondo siano 64 milioni i bambini privi di accesso all’istruzione primaria e che oltre 600 milioni non siano in grado di raggiungere livelli minimi di competenza in lettura e matematica, anche se due terzi di loro frequentano un qualche tipo di scuola. A pagarne le conseguenze non sono solo i bambini. Amartya Sen, premio Nobel per l’economia 1998, reputa l’educazione un bene pubblico che trascende i vantaggi che ne può trarre il singolo, perché facilita i cambiamenti sociali e favorisce il progresso economico con beneficio collettivo.

Uno zoom sul Pakistan funziona da cartina al tornasole. Ennesimo misero primato: secondo il rapporto sull’istruzione per il 2021-22, sono circa 26 milioni (su una popolazione di oltre 245 milioni di abitanti) i bambini al di fuori del ciclo scolastico, pari al 39% dei minori di tutto il Paese. Si tratta di cifre che negli ultimi anni hanno continuato ad aumentare, nonostante un susseguirsi di campagne governative a tutela di un diritto sancito dalla Costituzione fin dal 1956, che fissava l’educazione obbligatoria all’età di 16 anni.

L’attuale primo ministro pakistano Shahbaz Sharif, in un recente intervento alla Conferenza Nazionale sull’Educazione, dichiara la sua «ferrea determinazione a riportare a scuola tutti coloro che non la frequentano». Che sia la volta buona? La questione, infatti, è complicata. La mancata scolarizzazione cela la piaga ben più profonda e purulenta del lavoro minorile, spesso con le connotazioni di lavoro forzato. Un fenomeno molto difficile da quantificare, soprattutto per la mancanza di dati imputabile al fatto che ci troviamo di fronte a lavoro sommerso non riconosciuto, e ad una metodologia di raccolta dati carente. Gli studi localizzati sono effettuati da organizzazioni non governative e su limitata campionatura.

Certamente incide notevolmente la situazione di povertà che vive il Paese: povertà intesa nel suo ampio spettro di povertà di opportunità, di mezzi e, appunto, di istruzione. In Pakistan, però, il lavoro minorile ha caratteristiche profondamente legate a fattori sociali e culturali e si connota nella sua conformazione di schiavismo, nella sua configurazione rurale, nel fatto che denunce e controlli non possono contare su un onesto sistema giudiziario e di polizia.

Si tratta sovente di una forma di schiavismo denominata servitù da debito. L’Indice della Schiavitù Globale citato nel Rapporto 2017 del Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite (Undp), che classifica il livello di condizioni di schiavitù nelle nazioni del mondo, pone il Pakistan al 6° posto.

Fino a qualche decennio fa il lavoro minorile non era percepito come un problema, né dalle istituzioni, né dalla società civile. Esso è entrato nell’agenda pubblica, e successivamente nell’agenda istituzionale del Paese, per la pressione esterna della comunità internazionale e della cooperazione impegnata nella promozione e tutela dei diritti umani, che hanno accelerato i tempi di reazione di un governo pressato da immani problemi economici e di sicurezza.

Secondo l’Istituto statistico dell’Unesco, in Pakistan i bambini fra 5 e 14 anni che lavorano sono impiegati per il 76% nell’agricoltura, per il 6,7% nell’industria (fabbriche di mattoni, produzione di tappeti, strumenti chirurgici, industria dello sport), per il 4,6% nei servizi e per il 2,6% in altre attività (come la raccolta degli stracci o in piccoli laboratori, come officine meccaniche). Eppure nel Paese sono molti gli attivisti che spingono per una decisa presa di coscienza. Il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, ancora nel suo rapporto 2017 “Liberare il potenziale di un giovane Pakistan”, riconosce nei giovani la forza cruciale per lo sviluppo del Paese e nell’educazione l’unica possibilità per realizzarlo. Speriamo che le recenti dichiarazioni del primo ministro Sharif sortiscano a breve gli effetti auspicati.

 

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