Pagliai-Gassman in un Beckett egocentrico e logorroico

Uno spettacolo da non perdere, uno dei migliori del regista Giuseppe Marini, al Teatro Vascello di Roma fino al 20 gennaio e in tournèe a Carrara, Pistoia, Teramo e Lonigo
paola gassman

Non sapevo che Paola Gassman in un’intervista a proposito dello spettacolo Wordstar(s) di Vitaliano Trevisan, avesse dichiarato di volersi calare, prima o poi, nel ruolo di Winnie di Giorni felici di Samuel Beckett. Dico questo perché vedendola in scena, truccata di biacca, assumere espressioni e toni inusuali rispetto ai suoi ruoli più tradizionali, ho pensato a quanto sarebbe perfetta proprio nel ruolo della logorroica donna beckettiana sprofondata fino alla testa in un cumulo di terra.

E in qualche modo la richiama per la posizione che ha in scena: dapprima completamente immobile seduta dentro un armadio, poi dentro un frigo; quando poi inizia a parlare e a muoversi, è una forza della natura, una presenza catalizzante. Aver letto a distanza di qualche giorno la dichiarazione citata, mi ha confermato la forte impressione ricevuta dalla sua straordinaria interpretazione.

Non so, inoltre, se è nelle intenzioni anche di Ugo Pagliai volersi cimentare con un testo dell’autore irlandese. Sta di fatto che, anche lui bravissimo e sorprendente, sarebbe perfetto nell’Ultimo nastro di Krapp, per esempio. Entrambi, insomma, mi hanno stupito, rivelando una versatilità più che matura nel cimentarsi con un testo contemporaneo. E non è facile immergersi nell’universo di Beckett. Ancora di più se bisogna impersonarlo. Perché Pagliai, in Wordstar(s), incarna, appunto, il grande scrittore.

Nel testo Trevisan lo immagina ormai anziano, colto negli ultimi giorni della sua vita, in preda all’ossessione di essere dimenticato e con lui le sue parole ritenute obsolete – come un sorpassato programma di scrittura – e usurate. Partendo dal presupposto che l’immaginazione è morta e la vena creativa esaurita, egli corteggia l’idea della fine della letteratura e della parola che si stempera nel silenzio da cui trae origine e a cui vuol fare ritorno. La vertigine del pensiero e il  tormento creativo dell’artista si coniugano con la  goffaggine dell’uomo, colto nella sua quotidianità tragicomica, in mutande e con i calzini bucati; e di un corpo, compreso il cervello, che non risponde più bene e che impedisce le più elementari attività quotidiane, come tagliarsi le unghie dei piedi.

Al flusso monologante del protagonista fanno da contrappunto Suzanne e Billie, la moglie e l’amante, entrambe morte prima di lui: la prima, Paola Gassman, collocata, come si diceva dentro i due mobili a rammendare calzini; la seconda, Paola di Meglio, di cui vediamo solo la testa, bloccata come una abat-jour su un comodino, prima di casa, poi del letto d’ospedale dove giacerà lo scrittore. Ed è esilarante il loro chiacchiericcio post mortem, logorroico e delirante: litigano sempre, in assenza dell’uomo, rinvangando rancori e gelosie e rivendicando primati d’amore.  

Il regista Giuseppe Marini le ha trattate ingegnosamente e meravigliosamente come due creature beckettiane nel loro teatrino purgatoriale, ottenendo così l’effetto di avere sulla stessa scena lo scrittore e il suo teatro in un alternante doppio registro con cui respira il testo-spettacolo. Alle figure femminili subentra quella di un giornalista, studioso e biografo, Alessandro Albertin, che vagheggia fortune editoriali sulla vita di Samuel, e che continua a tormentarlo cercando di carpirgli un’ultima dichiarazione frugando anche nei fogli di carta buttati nel cestino. Sulla parete-velario dello sfondo la silhouette di un albero da innaffiare – anch’esso un’ossessione – rimanda a quello della terra desolata di Aspettando Godot, il suo capolavoro. Insomma c’è tutto l’universo di Beckett condensato in questo testo e restituito in uno spettacolo tra i migliori, forse, di Marini. Quindi da non perdere.

Al Teatro Vascello di Roma fino al 20/1, e in tournèe a: Carrara, Teatro Nuova Sala Garibaldi, il 23 e 24; Pistoia, Teatro Manzoni, dal 24 al 27; Teramo, Teatro Comunale il 29 e 30; Lonigo, Teatro Comunale, l’1/2.

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