A chi paghiamo il nostro debito?
La terra continua a tremare nel Centro Italia e anche a Roma molte scuole hanno evacuato studenti, professori e personale amministrativo. A parte l’impreparazione e la mancanza di organizzazione, vanno denunciate le troppe inadempienze. L’ultimo rapporto di Cittadinanza attiva sulle condizioni degli istituti scolastici in Italia racconta di «una scuola su dieci con lesioni strutturali. In un caso su tre gli enti locali non effettuano gli interventi richiesti. Un istituto scolastico su tre si trova in zone ad elevata sismicità e soltanto l’8% è stato progettato secondo la normativa antisismica». In generale poi, «due terzi delle scuole non possiedono la certificazione di agibilità statica».
Il nostro Paese avrebbe bisogno di “Ugo” come lo chiama il collettivo di scrittori bolognesi conosciuto come “Wu Ming” e cioè dell’“Unica Grande Opera” necessaria: la messa in sicurezza del territorio.
Ma come si può fare se la spesa pubblica è limitata dai ferrei vincoli di bilancio? Senza aprire nuovi cantieri come fa a ripartire l’economia con i salari e i consumi? Entro il primo febbraio il governo deve rispondere alla lettera redatta dal commissario Ue agli Affari Economici, Pierre Moscovici, che chiede una manovra correttiva di bilancio pari a 3 miliardi e mezzo di euro per coprire lo scostamento registrato tra debito pubblico e Prodotto interno lordo.
In prima battuta il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha detto che una delle cause del mancato rispetto del piano si deve attribuire alle difficoltà insorte nella vendita ai privati di pezzi del patrimonio pubblico considerati non strategici. Ma, intervenendo al Forum economico di Davos, lo stesso ministro ha manifestato la propria insofferenza affermando: «ll problema dell’Europa è l’Europa. I nostri problemi nascono a Bruxelles e talvolta a Francoforte».
Eppure, prima ancora della vendita del patrimonio pubblico e delle trattive con i funzionari europei, bisogna sempre ricordare che in Italia il vero problema è il debito pubblico. Il racconto di generazioni passate che hanno scaricato le spese eccesive su quelle che verranno spiega qualcosa, ma non tutto. Se le spese pubbliche sono inferiori alle entrate fiscali, vuol dire in soldoni che il peso maggiore viene dal “servizio del debito”, cioè dagli interessi che paghiamo sul debito. Ed ecco la domanda decisiva: chi lo detiene?
A chi paghiamo questa montagna di soldi invece di investirla nella spesa sociale?
Il sociologo Luciano Gallino, nella sua ultima lezione, ha preso in esame le scelte compiute dal 1981 al 1993, quando il debito pubblico è schizzato dal 60 al 120% del Pil. In tal modo abbiamo pagato per interessi oltre 1.800 miliardi di euro solo dal 1992 al 2014: dobbiamo capire dove vanno questi soldi. Ne dovremo riparlare.