I Paesi nordici al festival Equilibrio
Aurora Boreale a Roma è il titolo del festival Equilibrio all’Auditorium Parco della Musica, quest’anno dedicato, come si evince dal titolo, ai Paesi nordici (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia). Ad inaugurarlo è stata una serata dedicata a Mats Ek e Ana Laguna, coppia nell’arte e nella vita: lui 75enne, maestro indiscusso e geniale innovatore della danza del ‘900, che ha riscritto, tra il resto, in maniera moderna e spiazzante alcuni grandi titoli del balletto classico, tra cui la celeberrima Giselle per la sua musa, la spagnola Laguna, oggi 64enne. Dopo aver manifestato, nel 2016, la volontà di ritirarsi dall’attività creativa, Ek è invece prossimo a un nuovo debutto con due nuove creazioni previste per il prossimo giugno per il Ballet de l’Opéra di Parigi: Boléro e An other place su musica di Liszt. Con la moglie, invece, continuano a danzare insieme in diversi spettacoli in giro per il mondo.
Al festival hanno presentato tre diversi lavori che riassumono il senso del lavoro di Ek: Memory, Old and door e Axe. Il secondo è un breve film di danza del 1991, dove un’anziana donna, Birgit Cullberg, madre del coreografo e figura di spicco assoluta della danza contemporanea del ‘900, oltrepassa una porta che conduce a ricordi, desideri e timori. Soglia che si apre anche verso spazi ignoti, stanze mai visitate. Accanto a lei, due, all’epoca, giovani danzatori: Ana Laguna e Yvan Auzely. Gli stessi che ritroviamo nel brano Axe, dove entrambi, oggi naturalmente più anziani ma ancora capaci di regalarci autentiche emozioni dense del vissuto, si confrontano a partire da un’azione normale come lo è spaccare la legna da ardere, atto concepito da lui come una questione di importanza pratica, da lei come un atto di violenza. Sulla scena ingombra di pezzi di legno Auzely con un’accetta in mano è impegnato a spaccare dei ceppi fino a quando entra lei a interferire. E con movimenti essenziali e gesti semplici tra i due si instaura una nuova unione, un rapporto che è un resoconto d’amore. Lo stesso che anima la coppia Ek-Laguna in Memory, struggente bilancio della loro vita. In un interno domestico in penombra illuminato da una grande abatjour, fuoriuscendo a turno da dietro un pannello nero, i due, sulla musica di Niko Rohlcke, si incontrano abbracciandosi. Lui la solleva, poi scivola dalle sue braccia, scompare e ritorna correndo per la stanza. Lui la segue. Tra i mobili di casa i due iniziano un gioco di rincorse e attrazioni denso di ricordi, di attimi felici, di memorie di gesti. Sono frammenti di vita che si dissolvono nel ripetersi della scena iniziale. Con l’uomo che, rimasto solo, s’aggira smarrito. Perché, forse, è stato solo un sogno.
Un approccio alla visione di un’umanità alla deriva, e di esplorazione della profondità della psiche, è quello di Siren di Pontus Lidberg, terzo spettacolo presentato al festival. «Nella nostra società – spiega il coreografo, danzatore, regista e videomaker svedese – ogni cosa è soggetta al cambiamento continuo, non ultima la stessa definizione di cambiamento. La sfida delle relazioni interpersonali, della comunicazione, l’isolamento imposto dai social media che guidano le sorti del mondo, la fluidità di genere». Direttore artistico del Danish Dance Theater, formatosi alla tradizionalissima Royal Swedish Ballet School, coreografo di più di 40 lavori per le più importanti compagnie del mondo, Lidberg, insieme al drammaturgo Adrian Silver, prende spunto dal mito omerico delle sirene ammaliatrici che tentarono Ulisse e la sua ciurma, ma senza rimandare direttamente al mito, né a voler narrare alcuna storia.
Volendo esprimere i temi del desiderio, della creatività e della solitudine, Lidberg immerge i 7 danzatori, incluso lui stesso e l’unica presenza femminile, la thailandese Sarawanee Tanatanit, in una danza liquida, sinuosa, che sconfina in valzer, a tratti vigorosa ed energica nelle arcuate movenze maschili di gruppi e di duetti. L’inizio, con la donna-sirena fluttuante dentro una grande teca d’acqua, poi creatura sensuale che scatena turbamenti e scompiglia le identità vestendo lei stessa abiti maschili, faceva presagire sviluppi e visioni ancor più spettacolari specie sul piano coreografico. Così non è stato. Sulle musiche originali di Stefan Levin e la Sonata n.18 di Franz Schubert, la coreografia, piuttosto convenzionale nel vocabolario di movimenti, di turbinii e salti, di rotazioni a terra, di entrate e uscite, ha poche punte di originalità, escluso l’intenso duetto sulla musica di Schubert tra il biondo Pontus e la sirena dalle lunghe chiome.
Suggestivi gli appigli scenografici: un vasto telo che da onda marina si trasforma in vela, in mantello, in nuvola, e in schermo sospeso per proiezioni di disegni animati di occhi, di tempeste, isole, uccelli, pesci e animali dalle sembianze maialesche ‒ fattezze riprese da maschere indossate dai danzatori ‒ in riferimento al racconto omerico. Il finale, con l’uomo immerso nell’acquario, dice il rovesciamento dei ruoli, la trasformazione dei corpi, il varco dei confini.
Il festival Equilibrio prosegue la sua programmazione con: Brothers della compagnia del finlandese Alpo Aaltokoski, il 17 febbraio; Gotoguta del coreografo norvegese Hallgrim Hansegård, il 20; e Protagonist del Cullbergbaletten, storica compagnia svedese del coreografo e danzatore Jefta van Dinther, il 26.