I Paesi arabi aprono al Qatar: effetto Biden in Medio Oriente?
Capire cosa sta succedendo in Medio Oriente non è troppo difficile, quello che invece non si capisce è forse perché adesso. Mi riferisco alla “riapertura” verso il Qatar da parte del cosiddetto “gruppo dei quattro” costituito da Arabia, Emirati, Bahrein ed Egitto.
Occorre fare un passo indietro: nel 2017 i quattro Paesi arabi (e sunniti) imposero al Qatar (altrettanto sunnita e anzi addirittura wahabita come l’Arabia saudita) una lista di 13 richieste e un ultimatum: dieci giorni per ottemperare pena la rottura delle relazioni diplomatiche e un pesante embargo (comprensivo di minacce alle aziende internazionali operanti a Doha).
Le richieste, in sintesi, erano le seguenti: chiusura immediata della rete televisiva satellitare al Jazeera; fine dei finanziamenti alle reti mediatiche Arabi21, al-Araby al-Jadeed, Sharq e Middle East Eye, quest’ultima con sede a Londra; chiusura della base militare turca in Qatar; fine di ogni relazione con l’Iran; nessun finanziamento ai “terroristi” (Isis, al-Qaeda, Hezbollah e Hamas) e ai Fratelli musulmani; espulsione ed estradizione degli stranieri legati al terrorismo; fornitura di elenchi degli oppositori finanziati; allineamento totale alle politiche del “gruppo dei quattro” e riparazioni economiche per i danni loro arrecati; disponibilità al controllo sull’effettivo adeguamento alle richieste; accettazione della mediazione statunitense. Ce n’era abbastanza per rifiutare un’imposizione insopportabile, cosa che il Qatar aveva infatti fatto senza aspettare la scadenza dei 10 giorni, rintuzzando punto per punto ogni accusa e rigirandola ai mittenti corredata da contro-richieste altrettanto pesanti, e anche di più. Tutto ciò avveniva a giugno 2017.
In questi tre anni e mezzo la situazione di ostilità reciproca non ha conosciuto soste. Poi, il 4 gennaio 2021, colpo di scena: l’Arabia saudita riapre tutti i confini con il Qatar e il giorno dopo, mediatori il ministro degli esteri del Kuwait e il mitico genero di Trump, Jared Kushner, il potente erede saudita Mohammad bin Salman e l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad al-Thani, si incontrano e si abbracciano ad al-Ula, firmando una dichiarazione comune nel contesto del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc).
Cosa ci siamo persi per determinare una svolta improvvisa di tale portata? Apparentemente nulla. Anzi, i rapporti del Qatar con l’Iran e la Turchia si sono ulteriormente intensificati in questi 3 anni, così come, per quanto è dato sapere, quelli con l’organizzazione dei Fratelli musulmani e con Hamas, e il sostegno alle reti mediatiche, al-Jazeera in testa. Dunque?
Con tutta probabilità è successo che Donald Trump non è stato rieletto, e la linea intransigente contro l’Iran, e contro il Qatar, non ha dato i risultati sperati, tanto più che, per come stanno le cose attualmente, l’unico passo avanti sarebbe un conflitto aperto con l’Iran, un passo che forse Trump non avrebbe esitato a fare, ma che Biden ha dichiarato più volte di non volere assolutamente.
Secondo numerosi analisti ed esperti, a spingere i sauditi verso questo riposizionamento nel Golfo Persico è la necessità di mostrarsi affidabili agli occhi della nuova Amministrazione statunitense, nella speranza di entrare in un eventuale nuovo accordo sul nucleare iraniano.
C’è anche la reputazione da recuperare di fronte al Congresso e all’opinione pubblica statunitensi, che non hanno mai digerito da parte dell’alleato saudita il coivolgimento nel pasticcio yemenita e nell’eliminazione del giornalista Jamal Khashoggi.
Arturo Varvelli, analista e direttore romano di Ecfr (Consiglio europeo delle relazioni internazionali), sostiene a proposito della riapertura al Qatar: «Gli Stati Uniti, sebbene siano un po’ meno coinvolti, hanno ancora la capacità di dare le carte. Stemperare le diversità all’interno del Golfo, sebbene ci siano sensibilità molto diverse, passare da posizioni più ideologiche a traiettorie più realistiche, è utile per quei Paesi anche per prepararsi all’Amministrazione democratica».
«A quanto pare – afferma Varvelli in conclusione – ci troviamo forse davanti al preludio di un nuovo rapprochement generale nella regione, qualcosa che vede maggiori spazi anche per l’Europa e dunque per l’Italia» (Cfr. E. Rossi, 11.01.2021, formiche.net).