Il Paese più bello e virtuoso
Nei tempi della civiltà dell’immagine e dell’abbondante diffusione mediatica conseguente, a chi non piace essere bello, o per lo meno mascherare i propri difetti e gli errori della natura? Succede alle persone, ma anche ai gruppi, alle associazioni, alle istituzioni, alle città… E pure ai Paesi. Questi si servono a tale scopo dei tanti indici elaborati da diversi osservatori per guardarsi allo specchio e dire: «Come sono bello!». O, al contrario, brutto, a seconda dei risultati di quegli indici. È poi tocca alla stampa, che si occupa di diffondere, appunto, la bella o brutta immagine che il Paese offre nel palcoscenico mondiale.
Un esempio: «La Spagna crolla nella stabilità politica e nel buon governo, secondo il rapporto Mesías» (notizia pubblicata su Alerta digital). La nota, pubblicata il 1º agosto, sembrerebbe far riferimento al tentativo fallito di Pedro Sánchez di diventare presidente del governo pochi giorni prima, ma in realtà si rifà ai dati della Banca mondiale relativi al 2017. Ecco perché conviene sempre completare l’informazione con un medium di tendenza diversa, per avere un’informazione più completa. «L’instabilità politica fa scender l’immagine della Spagna dal 25° al 27° posto tra 145 Paesi in tutto il mondo» (El País, 30 luglio). In ambedue i casi, la fonte è il rapporto Mesías, elaborato da un organismo indipendente il cui scopo principale è fornire alle aziende dati e risorse per esportare i loro prodotti in migliori condizioni se contrassegnate dal «marchio Spagna». E allora si capisce che l’informazione, che punti o meno sul governo e sulla figura di Sanchez, in realtà manifesta la preoccupazione per l’andamento dell’economia nazionale.
Torniamo ora alla bella immagine di noi stessi che tutti vogliamo offrire. Uno degli indici di riferimento quasi obbligatorio è il cosiddetto “Indice globale” che misura il livello e la forza della qualità istituzionale e del buon governo di ciascun Paese. Lo elabora la Banca mondiale applicando sei indicatori: controllo della corruzione, efficienza del governo, stabilità politica, qualità normativa, stato di diritto, capacità di comunicare e responsabilità. Tutti indicatori che mirano a valutare la qualità democratica dei singoli Paesi.
La somma dei “punti” (sembra un concorso) ci dà la bella o brutta immagine di ogni Paese. Prendiamo i 28 membri dell’Unione europea. Nel suo insieme si raggiunge un 6,10 e sopra questa media si trovano 15 Paesi, mentre i restanti 13 non ci arrivano (omettiamo i nomi), e la migliore classifica la ottengono in qualità normativa i più bravi (o più belli): i nordici (Finlandia, Svezia e Paesi Bassi), come sempre. Che vincono in quasi tutte le categorie. Anche la Danimarca conta con un buon controllo della corruzione, della stabilità politica e della qualità normativa, mentre Lussemburgo e Malta sono politicamente stabili. Del sud del continente, meglio non segnalare nessuno.