Padula, specchio del cielo

Sopravvissuta miracolosamente a saccheggi e degrado, la Certosa di San Lorenzo attira oggi migliaia di visitatori.
certosa padula

A sud della provincia di Salerno, la Certosa di San Lorenzo in Padula è al centro di un’area di grande suggestione, il Vallo di Diano, un tempo sede del più potente feudo del regno di Napoli. A fondarla nel 1306 fu Tommaso Sanseverino, conte di Marsico, che la consegnò ai certosini assieme ad alcune proprietà circostanti, primo nucleo di un patrimonio immobiliare che si andò arricchendo nei secoli anche in seguito ad ulteriori donazioni. Le notevoli possibilità economiche unite alla sensibilità artistica dei religiosi permisero, soprattutto a partire dal Cinquecento, ampliamenti e continue ristrutturazioni del grande complesso monastico fino all’attuale smagliante veste barocca.

 

Sopravvissuta miracolosamente a saccheggi, devastazioni (durante le due ultime guerre fu campo di concentramento), e perfino a progetti di demolizione, oggi la Certosa di Padula è meta ogni anno di un imponente flusso di visitatori (fino a 200 mila), attratti dal fascino del luogo e dalle mostre di ampio respiro che trova vano in essa un contenitore ideale. Chi la visita oggi, conscio dell’estremo degrado in cui versava prima dei restauri avviati nel 1960, si trova di fronte ad un vero miracolo. Questo gioiello del nostro Mezzogiorno, restituito all’antica dignità architettonica a prezzo di dure battaglie, è come un messaggio che torna ad essere decifrato, o un muto che ha ripreso a parlare.

 

Sì, parla la Certosa, anche se da tanto tempo i monaci non la abitano più. Ogni pietra, ogni dettaglio ha infatti un preciso significato simbolico: dal sorprendente sfarzo degli spazi cenobitici, che la rendono più simile ad una reggia che ad un convento, alla razionale, monumentale semplicità di quelli eremitici. La bellezza naturale riflesso di quella spirituale; ecco ciò che continuamente doveva sperimentare il certosino, per il quale la Certosa era, in terra, specchio della Gerusalemme celeste.

 

Non a caso chi vi entra deve oltrepassare un ingresso che, come afferma il sovrastante cartiglio, è «felice porta del cielo». Chi poi, di porta in porta, giunge fino all’imponente Grande Chiostro della clausura entra nel cuore della Città di Dio; mentre lo scenografico Scalone realizzato a metà del Settecento da Domenico Barba è la scala di Giacobbe che conduce verso il paradiso. Qualcosa intuisce anche il visitatore più distratto, invitato, anzi dolcemente “costretto”, man mano che s’addentra nel complesso monastico, ad un percorso più interiore.

 

Soddisfazione, dunque, non solo per il riuscito salvataggio di un bene proclamato monumento nazionale; ma anche perché di pari passo è stato risolto il problema del suo riuso, essenziale per un organismo da mantener vivo. La Certosa, infatti, è ora un centro culturale e di formazione professionale per la salvaguardia dei beni culturali del Salernitano e dell’Irpinia: e va detto che queste nuove attività s’inseriscono a meraviglia negli antichi ambienti.

 

Come un tempo, una successione di funzioni, quasi una scala di valori, ne scandisce gli spazi: da quelli esterni, che ospitano gli studenti dei corsi di formazione, gli altri servizi di supporto e le sedi di rappresentanza degli enti territoriali che più hanno attinenza nel settore, agli ambienti più interni, destinati alle attività culturali e collettive, fino a quelli di conservazione climatizzata e di esposizione. Al posto dei monaci, custodi, operai e restauratori garantiscono la vitalità e quindi la conservazione dell’immensa fabbrica, tuttora – sia pure con finalità diverse – luogo di studio, di lavoro, di incontro.

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons