Padre Ibrahim Faltas: fermare ora la strage degli innocenti in Terra Santa
Intervista al padre francescano Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa sulla condizione disperata degli abitanti di Gaza sottoposti ad un'operazione militare israeliana che ha già provocato più di 10 mila vittime, in gran parte donne, bambini e anziani. Non si riesce a fermare la spirale di violenza innescata dalla strage terroristica operata il 7 ottobre da Hamas in Israele. La richiesta urgente all’azione diplomatica europea per far rispettare le regole internazionali e fermare lo scorrere del sangue
Ho sentito al telefono padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa. È un volto noto in Italia dove alcune città gli hanno conferito la cittadinanza onoraria ed è un punto fermo per chiunque decida di andare in pellegrinaggio a Gerusalemme.
Il francescano egiziano ha avuto un ruolo decisivo nel 2002 nelle trattative che hanno portato a risolvere positivamente il caso dell’assedio dell’esercito israeliano alla Basilica della Natività a Betlemme dove si erano rifugiati 240 palestinesi durante la seconda Intifada (rivolta armata contro l’occupazione dei territori palestinesi, ndr).
Si trova, quindi, nel posto giusto secondo la vocazione di Francesco d’Assisi («Signore, fa di me uno strumento della Tua Pace: Dove è odio, fa ch’io porti l’Amore, Dove è offesa, ch’io porti il Perdono, Dove è discordia, ch’io porti l’Unione»), ma davanti all’abisso che si è aperto con l’eccidio perpetrato da Hamas il 7 ottobre in Israele non può che constatare, come tutti, l’oscurità di questo momento che appare senza via di uscita, con le migliaia di morti civili sotto i bombardamenti su Gaza.
Come state vivendo questi giorni segnati dalla violenza estrema?
La situazione è gravissima. Anche in Cisgiordania si registrano, da inizio del mese, più di 160 vittime, in grandissima parte palestinesi colpiti dai coloni armati e dall’esercito. A Gaza ormai i morti sono 10.600, oltre a 30 mila feriti che non hanno la possibilità di essere curati per il mancato arrivo dei medicinali e per la carenza di strutture sanitarie che non vengono risparmiate dai bombardamenti. Sono stati colpiti più di 18 ospedali. Molte vittime, circa 2000 sono ancora sotto le macerie. Si stima che ormai un milione di abitanti di Gaza non ha più dove abitare perché le case sono state distrutte. In particolare nessuno dei cristiani ha più la propria abitazione.
Nessuno di loro, come gli altri palestinesi, hanno potuto lasciare la zona dei bombardamenti. Quanti sono i cristiani e dove si trovano ora?
Sono 700 persone, uomini, donne e bambini, rifugiate nel convento del patriarcato latino dove sono presenti le suore del Rosario, quelle della Carità (madre Teresa) e un padre egiziano. Potete immaginare cosa significa dar da mangiare ogni giorno ad un numero così alto di persone che hanno bisogno dei servizi igienici e di lavarsi. Ora arriverà anche il freddo e la pioggia. Non so proprio come faranno a resistere con Gaza sotto assedio, cioè senza luce, acqua, cibo, medicine… Da tre giorni non riesco a parlare con nessuno. Le comunicazioni sono state interrotte.
Oltre a pregare e invocare la pace, avete chiesto il cessate il fuoco. Che risposte avete avuto?
Nessuna risposta. L’appello di papa Francesco è finora rimasto senza risposta. Nessuno ascolta tali proposte. Vogliono andare avanti a tutti i costi. Anche se a pagarne le conseguenze sono i civili, soprattutto le donne, i bambini e gli anziani (il 70% delle vittime). Sull’altro fronte resta molto intenso in Israele lo choc per la strage del 7 ottobre. Come sempre ad essere colpiti sono sempre i più fragili e indifesi.
Come Chiesa vi siete sempre mossi per cercare via di dialogo …
Penso al dolore espresso dal papa che da sempre lotta contro la guerra e in particolare ha a cuore la Terra Santa dove è venuto in visita poco dopo la sua elezione nel maggio 2014. Ha voluto incontrare il presidente di Israele e dell’Autorità nazionale palestinese. A giugno dello stesso anno Shimon Peres e Mahmoud Abbas sono andati insieme in Vaticano per piantare come segno della volontà di pace un ulivo preso dall’orto del Getsemani.
Papa Francesco ha sempre cercato di favorire il dialogo.
Nel suo importante messaggio, il patriarca latino, card Pizzaballa ha sollevato il problema dell’occupazione dei territori palestinesi…
È evidente che non esiste altra soluzione oltre quella dei due stati per due popoli.
Ma come si fa ad attuarla senza continuità territoriale tra le aree assegnate ai palestinesi e con la presenza massiccia dei coloni ebrei in Cisgiordania? Come fare a farli andare via dai territori occupati?
È possibile se si manifesta una volontà decisa da parte della comunità internazionale. Esistono risoluzioni dell’Onu che vanno fatte rispettare. Altrimenti si decide di fatto che la situazione resti indefinita con tutte le tragiche conseguenze che sappiamo. Le immagini della strage del 7 ottobre e quelle che arrivano ora da Gaza sono orribili e strazianti.
Eppure il rischio è quello dell’assuefazione all’orrore nella confusione delle giustificazioni politiche che oscurano il grido del segretario dell’Onu Guterres che parla di crisi profonda dell’umanità.
Un ostacolo alla soluzione politica è secondo alcuni la poca credibilità della dirigenza dell’Anp.
Secondo me invece si sta perdendo tragicamente l’occasione di avere come interlocutore Abu Mazen che è uomo di pace ed è stato sempre contro la violenza. È lui che è stato uno degli artefici degli accordi di Oslo nel 1993. Lo si è voluto indebolire per far fallire ogni tentativo di portare avanti quel progetto per cui Rabin è stato ucciso.
Ma i vertici dell’Anp non difettano di legittimazione per mancanza di elezioni dal 2006?
Abu Mazen non poteva indire nuove elezioni accettando la decisone israeliana di non farle tenere a Gerusalemme est. Una carenza di sovranità inaccettabile.
Il nodo principale resta la Città Santa.
Quale è la soluzione auspicabile per il governo di Gerusalemme?
Quella prevista dall’Onu e sostenuta dalla Santa Sede, cioè uno statuto speciale riconosciuto a livello internazionale per una città aperta a tutti.
In Italia come in altri Paesi abbiamo manifestazioni contrapposte a difesa di Israele o della causa palestinese. Cosa può fare l’Europa a livello di relazioni internazionali?
Deve lavorare molto di più. Trovare tutti i modi per obbligare le due parti a trattare perché non esiste alcuna soluzione continuando con l’odio e la violenza.
Devono rispettare tutte le migliaia di morti consumate da questa follia e dire “basta” non vogliamo più altro sangue versato.
Il leader israeliano Rabin ha provato a porre fine alla violenza ma è stato ucciso proprio per questa ragione.
Costruire la pace è molto più difficile che ricorrere alla violenza. In questo momento non ci sono spiragli di luce. Tanti cristiani, sempre più ridotti di numero, vengono a dirmi che vogliono andare via. Il 90% di loro lavora nel settore del turismo e la paralisi del movimento dei pellegrini e turisti, provocata dalla guerra, è ormai insostenibile per loro. Il Natale si avvicina e speriamo sia finito questo tempo di odio e di violenza per accogliere con rinnovata fiducia il Principe della Pace nella Grotta di Betlemme.
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