Padre Hamel un anno dopo
Il 26 luglio dello scorso anno un umile anziano prete della provincia francese veniva barbaramente ucciso nella sua chiesa. Il crimine, perpetrato da due giovani musulmani, suscitò una grande ondata emotiva in Francia e non solo. Si parlava ormai di presupposti di una vera persecuzione di cristiani da parte di musulmani. Spesso, in quei giorni, le reazioni erano non solo irrazionali ma esagerate, sia pure di fronte all’orrore ingiustificabile di una morte assurda. È passato un anno e, a parte il papa che ha ricordato padre Hamel come un martire che ha dato la vita per la sua fede, è piombato il silenzio proprio sui canali che avevano gridato in modo più assordante. Molti di coloro che avevano gridato più forte, già nelle settimane successive all’assassinio del sacerdote francese, avevano criticato la scelta, da parte dei musulmani, in Francia ma anche in Italia, di essere presenti alla messa nelle chiese cattoliche come segno di partecipazione ad una tragedia comune per gli uomini e le donne di qualsiasi tradizione. Ma il silenzio è ancora più grave se si tiene conto che in questi giorni ci sono stati segni molto significativi da parte proprio di musulmani, e non solo, per ricordare l’orrendo e ingiustificato crimine dello scorso anno. Citiamone alcuni che sono stati riportati solo da alcune agenzie cattoliche e da qualche quotidiano in maniera piuttosto sfuggente.
Il dott. Hocine Drouiche, algerino, imam di Nimes (Francia) e vicepresidente della Conferenza degli imam di Francia, in questi giorni ha dichiarato con forza di essere convinto che un certo tipo di islam politico, insegnato nelle moschee d’Europa, spinge i giovani a «morire per Dio invece di vivere per fare del bene e aiutare gli esseri umani sulla terra». A fronte di questo riconoscimento sincero e senza mezzi termini – proprio del tipo preteso dai media occidentali e mai pubblicizzato – l’imam riconosce che un tale tipo di islam è ormai rifiutato da milioni di musulmani e rimane in piedi grazie al sostegno che riceve da Paesi “stranieri” (leggi: Arabia Saudita, Qatar, Emirati, Turchia, ecc…), ma anche grazie alla compiacenza dei politici europei, desiderosi di fare affari con tali Paesi “stranieri”. L’imam non teme poi di indicare tanti responsabili francesi dell’islam, compiacenti e troppo tranquilli. Per Drouiche, la riforma dell’insegnamento dell’islam è l’unica via per costruire un islam che contribuisca alla società europea. Senza di questo, «la sua crisi farà soffrire il mondo intero con esso». Infatti, riconosce l’imam di Nimes, «da diversi secoli l’islam attraversa una profonda crisi teologica. Allo stesso tempo, mette il mondo intero davanti al problema grave del terrorismo. Dal Bataclan a Bruxelles, a Berlino, a Londra, a Saint-Etienne-du-Rouvray, il nome dell’islam è stato sempre presente in seno agli attentati terroristi». Inoltre, l’autorità musulmana ha affermato che «migliaia di musulmani hanno vergogna di vedere la loro religione divenire un’ideologia di morte e di terrorismo. La maggioranza dei responsabili dell’islam in Francia e in Europa provengono dall’islam politico o lavorano per Paesi stranieri che utilizzano la presenza dell’islam e dei musulmani come uno strumento politico nella gestione dei loro rapporti con i Paesi europei». Drouiche è tornato anche sulla questione delle condanne nette che una certa opinione pubblica europea esige dai musulmani, all’indomani di atti di violenza. «I musulmani europei erano sorpresi per l’ondata di terrorismo islamico che ha colpito le città dell’Europa. Essi non hanno potuto dare risposte rassicuranti ai cittadini europei. Questi attendevano una condanna chiara e forte da parte loro.
Nelle scorse settimane, poi, si sono svolte diverse iniziative fra le quali una marcia dei musulmani contro il terrorismo che ha visto una sessantina di imam e rappresentanti di comunità islamiche di Belgio, Francia, Germania, Olanda, Portogallo, Spagna e Tunisia percorrere l’Europa per toccare i luoghi degli attentati terroristici di matrice islamista che in questi ultimi anni hanno insanguinato il continente. Hanno viaggiato insieme con un grande bus color grigio-argento che ben si mimetizzava fra i tanti bus turistici che, in questi mesi, colorano ed affollano le piazze e i viali delle grandi città europee. La differenza, forse, la faceva una scritta riportata, in diverse lingue, sulle fiancate del pullman: “Marcia dei musulmani contro il terrorismo”. Soprattutto ad attirare l’attenzione dei turisti veri nei centri colpiti dal terrorismo in questi ultimi anni era la massiccia presenza di poliziotti e agenti dei servizi di sicurezza. Era ovvio che sul quel bus viaggiava gente che turista non era e tanto meno era in viaggio di piacere.
Il percorso della marcia ha ripetuto il succedersi degli atti criminali che hanno insanguinato l’Europa usando il nome di una religione. Partito da Parigi (Champs-Elysées), il bus ha fatto la sua prima tappa alla Breitscheidplatz di Berlino, dove il 19 dicembre scorso il profugo di origine tunisina Anis Amri investì col suo camion il mercatino di Natale uccidendo 12 persone e ferendone altre 50. Si è poi proseguito per Bruxelles, dove gli imam hanno commemorato le 32 vittime degli attentati del 22 marzo del 2016 e, successivamente, ha toccato proprio Saint-Etienne du Rouvray, dove il 26 luglio dello scorso anno venne assassinato padre Jacques Hamel. Fino al 14 luglio, giorno della Festa Nazionale francese, la comitiva ha sostato a Montauban, Tolosa arrivando fino a Nizza, dove gli imam, insieme alle comunità islamiche locali e ai rappresentanti delle altre religioni, hanno ricordato le 86 vittime della strage avvenuta esattamente un anno fa.
L’imam di Nîmes, Hocine Drouiche, di cui abbiamo parlato in apertura, ha lanciato un messaggio chiaro:
«Gli islamisti devono smettere di tenere in ostaggio la nostra religione. È arrivato il momento di dire basta ad ogni forma di strumentalizzazione politica e terroristica dell’Islam».
Ha anche riconosciuto che «i musulmani si devono adattare ai valori occidentali, che sono gli stessi valori umani di fratellanza che l’Islam spirituale ci insegna».
Drouiche e gli altri imam che hanno aderito all’iniziativa, sono rappresentanti delle comunità islamiche più moderate e liberali che da tempo si battono a favore di una modernizzazione della loro religione. Imam che all’interno delle comunità islamiche in Europa rappresentano ancora una minoranza, ma che ora hanno trovato il coraggio di denunciare i crimini e le barbarie compiute nel nome della loro religione da fanatici come quelli del cosiddetto Stato islamico.
Ogni tappa è stata caratterizzata da momenti in cui si sono svolte piccole celebrazioni e preghiere in ricordo delle vittime del fanatismo islamista. Spesso queste pause di riflessione e preghiera si sono tenute insieme ai rappresentanti delle comunità ebraiche, cattoliche e luterane locali. Infatti, lo stesso vice-presidente degli imam francesi ha precisato che la stragrande maggioranza dei musulmani condivide con i cristiani, gli ebrei, i buddhisti e gli atei lo stesso Paese e gli stessi valori. «E se si innesca il fuoco, nessuno verrà risparmiato dalle fiamme».
Il 26 luglio, poi, migliaia di persone, cristiani e musulmani, si sono radunati a Saint-Etienne-du Rouvray per ricordare quello che è ormai riconosciuto a furor di popolo, come un martirio. L’omaggio verso il sacerdote ucciso è iniziato con una messa celebrata da mons. Dominique Lebrun, arcivescovo di Rouen, nella chiesa dove è avvenuto il martirio. Alla messa ha partecipato anche il presidente della Repubblica Emmanuel Macron. A seguire vi è stato lo scoprimento di una stele in memoria di p. Hamel e alcuni discorsi delle autorità. Nell’omelia, mons. Lebrun ha sottolineato che p. Hamel «parlava il linguaggio dell’amore. In questa chiesa è stato ridotto al silenzio… Ma la sua vita e la sua morte parlano molto al di là di ciò che egli aveva immaginato… Ed egli parla a ognuno di noi». Fra i presenti vi erano anche rappresentanti delle diverse religioni. D’altra parte il paesino e la chiesa sono ormai meta di pellegrinaggi non solo di cristiani, ma anche di musulmani.