Pace, fratello mio

E’ difficile commentare il discorso del Papa in un contesto di famiglie impoverite, di poco rispetto per la donna, di lobby politiche troppo legate ad interessi di parte. Eppure Benedetto XVI invita a vedere oltre le apparenze e a guardare il positivo di ogni uomo chiamato a edificare un mondo nuovo
Il Papa durante la liturgia di Capodanno

È difficile commentare nell’attuale contesto italiano il messaggio di Benedetto XVI per la 46° giornata mondiale della pace, dal titolo: “Beati gli operatori di pace”.

È difficile perché autorevoli esponenti del mondo ecclesiale hanno esplicitamente appoggiato o si sono direttamente coinvolti nella “salita in politica” di alcuni rappresentanti del mondo finanziario, bancario e industriale. Una scelta di campo che sembra. ancora una volta, trasformare una parte della comunità ecclesiale in una lobby politica che si identifica di fatto con un blocco sociale ben definito: i potenti e i ricchi.

È difficile commentare il messaggio del papa, quando la comunità ecclesiale e civile è profondamente ferita e indignata dalla mentalità maschilista e clericale, ancora tanto radicata in ogni ambiente della società e della Chiesa, che continua a fare violenza sulle donne.

È difficile commentare il messaggio del papa, quando intere famiglie sono ridotte sul lastrico dal quasi fallimento di opere assistenziali gestite in modo delittuoso e fraudolento da persone portatrici di carismi nati per i poveri.

Qualcuno direbbe: niente di nuovo sotto il sole. Grazie a Dio, però, le parole scelte dal papa restano per sempre scolpite nel cuore della storia dell’umanità. Esse hanno la forza di generare continuamente cuori capaci di pace.

Che sanno essere segno non solo di un “umanesimo aperto alla trascendenza”, ma anche di una trascendenza aperta all’umanità. Che hanno deciso di amare l’altro, chiunque esso sia, come un “fratello” e di custodirlo così dentro di sé per sempre.

Che non solo hanno trovato la risposta alla domanda: chi è Dio per me e chi sono io per Dio? Ma che si sono lasciati profondamente interrogare da un’altra domanda, altrettanto fondamentale: chi è l’altro per me e chi voglio essere io per lui?

Dice il messaggio: “La pace è ordine vivificato ed integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere sempre più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale, assumono la responsabilità del proprio operare. La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo”.

Un testimone prezioso della pace è Padre Pino Puglisi, martire della fede, che il 25 maggio a Palermo sarà beatificato: “È importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell'uomo per soldi. Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore ma, se ci si ferma a questo livello, sono soltanto parole. E le parole devono essere confermate dai fatti”; “L’amore per Dio purifica e libera. Ciò non vuol dire che veniamo spersonalizzati ma, anzi, la nostra personalità viene esaltata e potenziata, cioè viene data una nuova potenzialità alle nostre facoltà naturali, alla nostra intelligenza. Viene data una luce nuova alla nostra volontà”.

Ha detto il card. Pappalardo nel primo anniversario: «In un contesto “mafioso” la dignità e la libertà umane vengono ignorate e calpestate, mentre Don Puglisi, in nome del Vangelo e della missione educatrice da esso affidatagli, cercava di ottenere che ciascuno comprendesse la necessità di sottrarsi ad ogni pesante giogo e disporre della propria esistenza senza umilianti asservimenti, per diventare, da schiavi, uomini liberi. Quanto sono giustificative a tal riguardo le parole che nella sua ultima omelia rivolgeva dall’altare a quanti lo contrastavano per l’opera da lui svolta nella Parrocchia, nel Quartiere, nel Centro Sociale “Padre nostro”: “Vorrei conoscere e sapere i motivi che vi spingono ad ostacolare chi vuole educare i vostri bambini alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e dello studio. Chi usa la violenza non è uomo. Chiediamo a chi ci ostacola di riappropriarsi dell’umanità”».

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