Pace e speranza, le parole di Francesco
La Settimana santa di quest'anno è stata incastonata fra gli attentati del 22 marzo di Bruxelles e la strage di Pasqua a Lahore, in Pakistan. Una nube di pessimismo, paura e sfiducia si è diffusa nel nostro cielo, oscurando la speranza. Ma la presenza e la parola di papa Francesco si è eretta nel mezzo di questo scenario come riferimento forte e chiaro per tutti, per aiutare a non lasciarsi schiacciare dagli avvenimenti, a saperli leggere e affrontare da uomini e da cristiani. Francesco ha parlato da uomo di fede, ispirandosi al Vangelo, cui egli si riferisce sempre (ce lo insegna in tutti i modi), prendendolo alla lettera nella sua semplicità pura, lontana da elucubrazioni fuorvianti.
Richiamo alcune parole chiave dei suoi messaggi del Triduo pasquale.
1. Siamo tutti fratelli. L'ha detto il giovedì santo nel Centro di accoglienza di Castelnuovo di Porto, lavando i piedi ad appartenenti a varie religioni, che «hanno il desiderio di vivere integrati, in pace» e denunciando i terroristi e i fabbricanti di armi, «che vogliono il sangue, non la pace».
2. Le parole di papa Francesco sono state piene di drammaticità, il cui culmine è avvenuto nella preghiera alla conclusione della Via crucis al Colosseo, il venerdì santo. Impossibile riportarle integralmente qui (si possono trovare in www.vatican.va). La loro sintesi sta nell'inizio: «O croce di Cristo, simbolo dell'amore divino e dell'ingiustizia umana, icona del sacrificio supremo per amore e dell'egoismo estremo per stoltezza, strumento di morte e via di risurrezione». La croce sta al centro della contraddizione fra l'amore di Dio e il male dell'uomo. Francesco ha fatto una lunga e sofferta denuncia dei mali che l'uomo d'oggi sa perpetrare, con estrema chiarezza e coraggio, come forse non aveva mai fatto prima: i rifugiati, i venditori di armi, i ministri infedeli, il terrorismo, i corrotti, i morti nel Mediterraneo, gli anziani abbandonati, i distruttori della natura. Dall'altra parte ha ricordato con profonda tenerezza le tante categorie di persone che fanno il bene: i ministri fedeli e umili, le suore e i consacrati, i misericordiosi, le famiglie fedeli, i volontari, i sognatori.
3. Questa contraddizione è sfociata nella Pasqua, dove la situazione di questi giorni lanciava la sfida alla speranza cristiana. E Francesco lo sa: «C'è tanto bisogno oggi di suscitare e risuscitare la speranza». Ci sono “sepolcri sigillati”, chiusi da pietre, macigni e pesanti massi. L'annuncio e la preghiera del papa è che «il Signore ci liberi da questa terribile trappola, dall'essere cristiani senza speranza, che vivono come se il Signore non fosse risorto e il centro della nostra vita fossero i nostri problemi». E qui interviene nel suo in modo inconfondibile: «Occorre illuminare tali problemi con la luce del Risorto, in certo senso evangelizzarli. […] Questo è il fondamento della speranza, che non è semplice ottimismo, e nemmeno un atteggiamento psicologico o un buon invito a farsi coraggio. La speranza cristiana è un dono che Dio ci fa, se usciamo da noi stessi e ci apriamo a Lui». E termina, invitando tutti a risuscitare la speranza nei cuori appesantiti dalla tristezza, come “servi gioiosi della speranza”, annunciando il Risorto con la vita e mediante l'amore.
4. La conclusione è avvenuta nel messaggio “Urbi et orbi” del mattino di Pasqua, un momento tradizionale nel quale i papi spalancano lo sguardo sul mondo, invitando i cristiani e gli uomini a fare altrettanto. Francesco ha enumerato alcune situazioni dove la sofferenza umana è più acuta, dove le soluzioni ai problemi sembrano più lontane: la Siria, il Medio Oriente, la Terra Santa, l'Ucraina, il Venezuela, vari Paesi africani, valorizzando i segni, anche se piccoli, di miglioramento. E non ha dimenticato i perseguitati per la fede, ricordando loro la parola di Gesù: «Non abbiate paura! Io ho vinto il mondo!».