Oxfam oltre lo scandalo

Le dolorose vicende che colpiscono l’Ong britannica, obbligano ad aumentare l’attenzione sulle organizzazioni solidaristiche, diventate un grande business internazionale. Ma delle mele marce non possono far gettare tutta la cassetta della frutta

È una sigla che abbiamo imparato a conoscere, poco alla volta. Oxfam, acronimo di Oxfam, Oxford Committee for Famine Relief. Abbiamo associato questo nome a non pochi campi di battaglia nel mondo: la guerra in Yemen, la fame nel corno d’Africa, i dossier sulla vendita di armi nel mondo. Creato nel 1942 da un gruppo di quaccheri, attivisti e insegnanti della città universitaria inglese per agire contro la carestia causata dal blocco britannico dell’occupazione nazista in Grecia, oggi è una potente Ong, cioè un’organizzazione non governativa, che raggruppa una ventina di Ong più piccole presenti in molti Paesi.

Oxfam è salita alla ribalta in questa settimana non per quello che fa, non per le denunce che rivolge alle situazioni più critiche sostenute da governanti di mezzo mondo, ma per un uno scandalo, per una notizia di cronaca che ha fatto rapidamente il giro del mondo. Alcuni membri dello staff di Oxfam hanno usato dei servizi di alcune prostitute locali in missione ad Haiti, dopo il terremoto del 2010. Lo stesso giorno, Penny Lawrence, vicedirettore esecutivo di Oxfam, ha rassegnato le dimissioni, esprimendo la sua «tristezza» e la sua «vergogna» per le accuse di «essere a capo dei dipendenti in Ciad e Haiti che hanno coinvolto prostitute» assumendosi la piena responsabilità degli eventi.

Secondo il Times, due case affittate da Oxfam per ospitare i suoi operatori umanitari ad Haiti hanno ospitato di frequente delle orge con prostitute locali. Roland van Hauwermeiren, ex-militare belga che gestiva Oxfam ad Haiti, riceveva anche prostitute nella sua villa, il “Nido dell’aquila”, affittata dalla Ong britannica. Un’indagine interna dimostra come si fosse cercato di tacitare lo scandalo e come non si fosse fatta abbastanza attenzione ai comportamenti di van Hauwermeiren. E già nel 2011 4 dipendenti della Ong erano stati costretti a dimettersi per «avere usato prostitute» nei locali della Oxfam.

Fin qui i fatti. Continuano nel frattempo le rivelazioni che stanno creando forte imbarazzo nella Ong, togliendole quella credibilità che l’aveva portata a denunciare con forza le connivenze di tanti poteri governativi con traffici più o meno leciti. Per analogia, uno scandalo del genere potrebbe essere paragonato a quello che ha colpito la Chiesa cattolica in Irlanda e negli Stati Uniti a proposito della pedofilia: anche se i pedofili sono ovunque, ogni minimo atto di sfruttamento della propria autorevolezza spirituale per indurre persone affidate alla propria cura a sottomettersi ad abusi sessuali, egualmente una Ong non può usare della propria posizione di forza, delle proprie strutture e del proprio denaro per assecondare e finanziare le perversioni sessuali dei suoi dipendenti.

Haiti Hurricane Matthew

In una visita ad Haiti nel 2012, parlando con operatori addentro alle vicende delle Ong, già avevo raccolto le denunce di abuso di potere rivolte a tante di queste Ong, del mondo intero ma soprattutto statunitensi e britanniche, che facevano il bello e il cattivo tempo nella capitale Port-au-Prince e nei dintorni, in commerci d’ogni tipo. Abusi commessi da operatori pagati profumatamente migliaia di dollari al mese, mentre lo stipendio normale dei locali non superava i 50 dollari. Soprattutto i religiosi presenti sul luogo, in testa gli Omi e le suore salesiane, non avevano avuto parole tenere nel denunciare i comportamenti assolutamente deprecabili di tante Ong. Al punto che numerose organizzazioni solidaristiche hanno preferito nel frattempo togliere le tende, lasciando una situazione sociale nella capitale talvolta peggiore di quella che avevano trovato arrivando sul posto. Non stupisce lo scandalo Oxfam, ma stupisce al contrario che solo ora siano venute alla luce pratiche considerate quasi “normalità” dai funzionari di certe Ong.

Il caso haitiano è emblematico delle distorsioni di certo “umanitarismo” che nei fatti è diventato un lucroso business di cui gli Stati di mezzo mondo si servono per evitare di implicare le amministrazioni statali in operazioni rischiose e costose. Meglio cioè dare soldi a organizzazioni che s’incaricano di difficili e rischiose operazioni solidaristiche in luoghi difficili piuttosto che rischiare l’immagine dello Stato. Così oggi i finanziamenti plurimilionari di cui godono tante Ong, non possono che attirare le mosche del malaffare, della corruzione, della perversione. Ma non si può far di ogni erba un fascio e non capire l’immenso capitale umano e materiale che tali Ong sono in grado di smuovere e mettere al servizio dei più bisognosi.

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Come è stato fatto dalla Chiesa cattolica in un doloroso cammino di purificazione, anche le Ong debbono ora darsi norme “a tolleranza zero” sulle questioni di sfruttamento della situazione di debolezza di tanta gente che si vorrebbe aiutare. Rigore assoluto, razionalizzazione dell’utilizzazione dei fondi, controlli esterni… ogni misura deve essere messa in atto per evitare il ripetersi di tali episodi ignobili. Ma proviamo a immaginare un mondo senza Ong… Si creerebbe un vuoto spaventoso nei luoghi del globo dove la sofferenza è più acuta.

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