Ötzi, l’uomo venuto dai ghiacci

L'istantanea di un nostro simile vissuto cinque millenni fa e dotato di conoscenze e abilità insospettate per l'epoca
Otzi

L’istantanea di un nostro simile vissuto cinque millenni fa e dotato di conoscenze e abilità insospettate per l’epoca.

 

Lo sapevate che l’arco alpino italiano è il sistema montuoso più densamente popolato del pianeta fin dalla preistoria? Questo ed altro scoprirete leggendo Ötzi, l’uomo venuto dai ghiacci (Marsilio Ed.), appassionante documentazione su una delle scoperte archeologiche più clamorose nello scorcio dello scorso millennio: la "mummia del Similaun", cosiddetta dal massiccio presso cui fu rinvenuta in perfetto stato di conservazione, a 3213 metri di quota. Un libro così ricco di dati che, a lettura ultimata, a qualcuno sembrerà di conoscere meglio dei propri vicini di casa questo personaggio vissuto 5300 anni or sono ed oggi esposto al Museo Archeologico di Bolzano. Ripercorriamone la vicenda.

Nel pomeriggio del 19 settembre 1991 una coppia di escursionisti tedeschi faceva ritorno al rifugio Similaun, in Alto Adige. Giunti presso una piccola conca naturale dove il ghiaccio sciolto aveva formato una pozza, notarono affiorare dall’acqua un busto umano. Un alpinista o uno sciatore scomparsi? Subito ne diedero notizia al rifugio, dando avvio alle ricerche. Accanto al cadavere mummificato si rinvennero brandelli di pelliccia e di fibre vegetali intrecciate, pezzi di corteccia di betulla, rimasugli di corda e vari oggetti davvero singolari, come un’ascia e un pugnale rudimentali.

Il recupero, piuttosto difficoltoso, venne portato a termine da una squadra austriaca solo quattro giorni dopo. Trasportato in elicottero a Innsbruck e conservato in una cella frigorifera, il corpo fu finalmente a disposizione di medici e studiosi. Fra questi Konrad Spindler, docente di preistoria e protostoria presso l’università di quella città, gelò i suoi colleghi affermando che i reperti deposti accanto alla mummia risalivano a non meno di 4000 anni prima.

Con tutti i movimenti dei ghiacciai avvenuti in quattro millenni, com’era possibile che fosse rimasta intatta una salma di epoca così remota? E tuttavia i successivi esami compiuti al radiocarbonio diedero un risultato ancor più incredibile: quell’uomo, morto in chissà quali circostanze, era vissuto addirittura 5300 anni prima.

A questo punto, per renderci conto dell’importanza e dell’eccezionalità del ritrovamento, c’è da fare una considerazione: cosa conosciamo delle popolazioni e delle culture della preistoria? Utensili di pietra, osso e corno, spesso soltanto cocci, armi, ornamenti di metallo, più raramente manufatti di legno: oggetti per lo più di non facile comprensione per il pubblico e spesso anche per lo specialista. Stavolta, invece, è come se, «grazie ad una fantascientifica macchina del tempo ci imbattessimo di colpo in un uomo in carne ed ossa proveniente dai remoti tempi della preistoria».

Trasportiamoci ora all’inizio dell’età del rame per tentare di ricostruire le ultime ore di Ötzi (così è stato ribattezzato l’uomo del Similaun).

Era fine estate-inizio dell’autunno quando Ötzi si pose in cammino. Proveniva da un villaggio della Val Senales o della Val Venosta, sul versante sud dello spartiacque alpino, e si dirigeva probabilmente verso la discesa lungo la Ventertal per raggiungere la Ventertal. L’ipotesi più verosimile è che fosse un pastore di ritorno con le pecore della comunità dai pascoli d’altitudine. Un simile tragitto, del resto, compiono ancora oggi i pastori della Val Senales, attraverso il ghiacciaio del giogo Basso, fino alla verde Ötzal.

Ötzi aveva consumato presso un villaggio o altro punto di sosta della valle il suo ultimo pasto consistente in una farinata di cereali e in frutta selvatica. Dopo di che, spento il fuoco e riposte le braci in un contenitore di corteccia di betulla, s’era rimesso in marcia. All’imbocco della Val di Tisa, aveva iniziato la salita verso il Similaun, costeggiando un piccolo torrente. Ad un tratto le condizioni atmosferiche cominciarono a volgere al peggio, si scatenò una bufera di neve o forse si alzò una nebbia improvvisa, mentre la temperatura si abbassava in maniera repentina.

Rimasto isolato dai compagni, Ötzi trovò rifugio in una piccola conca rocciosa dove, sfinito, depose la faretra, l’ascia, l’arco e il resto del carico. Probabilmente cercò di riscaldarsi con lo scaldino portatile, ma non bastò: la sua lotta contro il torpore che precede la morte per assideramento fu vana. Il dopo si può immaginarlo: la neve dovette ricoprire temporaneamente il cadavere. Passato il maltempo, il vento secco di ponente ne provocò l’essiccazione. Poi di nuovo una coltre di neve, trasformatasi in ghiaccio perenne.

La piccola conca, costituendo una sorta di ancoraggio, impedì quei movimenti del ghiacciaio che avrebbero finito per polverizzare la salma; fino ad oggi in cui, tornate le condizioni climatiche simili a quelle di 5300 anni fa, questo nostro antenato è riemerso col suo bagaglio insospettato di conoscenze circa l’ambiente in cui viveva e le sue risorse, le proprietà dei materiali e le tecniche per fabbricare abiti, scarpe, armi e altri strumenti.

Povero Ötzi. il cui sacrificio ha accresciuto il nostro sapere su una così remota antichità! Ma si sa: tragedie e grandi catastrofi del passato sono la fortuna dell’archeologo.

 

Una miniera di informazioni. Tale è risultato per noi Ötzi. Ecco solo qualche dato: altezza un metro e 61 cm, peso intorno ai 55 chili, occhi grigio-blu, capelli e barba castani, circa 45 anni d’età, oltre a svelarci da quali malattie era affetto l’uomo dei ghiacci presenta tatuaggi (i più antichi finora direttamente documentati), in coincidenza con i punti in cui sono stati riscontrati certi fenomeni artrosici. Per cui è la più antica testimonianza dell’esistenza, nella preistoria europea, di una pratica terapeutica simile all’agopuntura. Una curiosità: facevano parte del suo abbigliamento una cintura di pelle di vitella fornita di marsupio e un paio di mocassini provvisti di una sorta di calza riempita di fieno.

L’equipaggiamento comprendeva, fra l’altro: un arco e una faretra contenente quattordici frecce; un’ascia con manico in legno di tasso e lama in rame, unico caso completo finora noto; due pezzi di fungo di una specie ricca di sostanze antibiotiche: servivano a scopo terapeutico? Del resto tutta la medicina popolare ha le sue radici nella preistoria.

Successive indagini sul cadavere mummificato accerteranno una ferita dovuta ad una freccia, aggiungendo così ad esso un nuovo elemento di mistero.

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