Ostana torna a vivere

“Se non c'è un bar come vive un paese?” poi è arrivata Silvia. E altri, con obiettivi chiari: rilancio, integrità di paesaggio e patrimonio edilizio da mantenere senza cementificare tutto. Oltre a formaggio, miele e grano saraceno. Là dove sorge il Po, sul balcone che guarda al Monviso, un piccolo Comune rischia di scomparire, poi torna ad essere comunità
Ostana

Silvia ha poco più di quarant'anni. Due figlie bellissime. Con gli occhi vivaci. Corrono su e giù per il prato e il bosco. «Come avrebbero fatto a scoprire capre e mucche se fossero rimaste chiuse nel centro di Torino? − butta lì la mamma -. Impareranno a cadere tra le pietre, a rialzarsi. Sono bambini che scoprono la montagna, bello, no?». Già, come darle torto? In questo angolo di Piemonte a milleduecento metri di altitudine, proprio di fronte al Monviso, tutto sembra ancora da scoprire. Non è la montagna finta, stereotipata, immutevole, estensione della città per gli alpinisti e gli sciatori. Qui non nevica firmato, per dirla con Mauro Corona.

 

Quella montagna che Silvia ha scoperto a Ostana, cinquanta chilometri a nord di Cuneo, è la montagna che ha vinto. Prima di tutto una scommessa con se stessa e con chi la dava per morta. Silvia ha lasciato il suo ufficio di dirigente regionale in via Carlo Alberto a Torino. Pieno centro della città, all'ombra della Mole Antonelliana. Per trasferirsi qui, nelle Terre Alte, di fronte al Re di Pietra così imponente e così dolce. Ha scelto. Ha voluto lasciare tutto per gestire la Galaberna, il bar-ristorante-rifugio che è ormai conosciuto in tutto il Piemonte e oltre confine. «Pensare che fino a quattro anni fa non avevamo neppure più un bar. E se non c'è un bar come vive un paese?», apre le braccia il sindaco Giacomo Lombardo.

 

Ostana era morta. 1200 abitanti nel primo dopoguerra. Anni venti e trenta. Poi la drammatica "rivoluzione industriale" (nata dalle montagne, ma tutta celebrata in città) che ha portato via "a metri lineari" uomini e famiglie. Poi è arrivata la guerra. Dopo sono andate via anche le donne, per fare le "servente" in città. Le più belle. Colf delle famiglie torinesi più ricche. Apprezzate. E Ostana nel secondo dopoguerra si è ritrovata con cinque abitanti. Un paese morto. Chi lavorava a Torino faceva lo stracciaio, attorno al mercato di Porta Palazzo. Un pezzo di comunità si era trasferito li, mentenendo legami che col tempo sarebbero stati decisivi.

 

«Sono passati diversi anni, come per tanti altri paesi alpini, spopolati e abbandonati − ricorda Giacomo, il primo cittadino, 71 anni, fisico da montanaro, alto 1 e 90, magro −. Anch’io me ne ero andato. Ho girato il mondo dietro a tante aziende. Ma appena potevo tornavo su». Torino dista meno di 80 chilometri. Ostana non è lontana nel tempo e nello spazio. Ma è diversa e unica.

 

«Così in tanti, subito dopo la pensione, siamo tornati. Abbiamo recuperato le case dei nostri padri e dei nostri nonni. Siamo tornati a cantare insieme come facevamo a Torino, ma questa volta a Ostana. Con amici abbiamo vinto le elezioni comunali. Primi anni ottanta − spiega il sindaco −. E ci siamo guardati attorno. O far morire il paese o rilanciarlo». Facile capire cosa abbiano scelto. Barra dritta puntata su due fattori. Integrità del paesaggio, dei luoghi, del clima, e patrimonio edilizio da mantenere senza cementificare il paese, con i condomini che facevano gola agli speculatori, come avvenuto pochi chilometri più in là.

 

La corsa di Ostana sulla via del rilancio passa dalla scelta dell'architetto Maurino, che abita in paese, di ristrutturare i primi immobili per chi ha deciso di tornare. E poi dalla cultura occitana, con le sue tradizioni, i suoi piatti, la sua musica, che attraversa queste valli e arriva fino in Spagna. «Il viaggio da allora a oggi è pieno di scommesse, molte vinte», sorride il sindaco guidando gli amici tra i cantieri dove si spaccano pietre da mettere a secco sui muri. A Sant'Antonio, con due milioni di euro di fondi europei, si sta completando un centro culturale, con foresteria e ristorante. Ma anche la scuola scelta dall'Istituto di Architettura montana del Politecnico di Torino.

 

Poco più a monte, funziona a pieno ritmo l'agriturismo A nostro mizoun ed è su questi pendii strappati al bosco che quest'anno sono state fatte le prime forme di formaggio marchiato Ostana, oltre al miele e al grano saraceno. Poco più a valle c'è la casa del pastore de Il vento fa il suo giro, il film pluripremiato dei registi Giorgio Diritti e Fredo Valla che, guarda un po', hanno una cosa qui. Appena sotto il Comune, con un milione di euro di fondi statali si sta completando un centro benessere, poi un nuovo piccolo albergo con centro di lavorazione artigianale del legno.

 

«Abbiamo iniziato a parlarne con il Gruppo Abele. Ci piacerebbe fare qualcosa con loro», commenta il sindaco che ha ospitato don Ciotti, ma anche Guccini e altri artisti. Non si ferma un attimo. Tra qualche giorno qui ci sarà la festa degli alpini della valle. È solo uno dei cento eventi dell'anno, tra due festival letterari, la scuola di cinema, la rassegna di film, le presentazioni di libri e gli incontri sulla nuova economia della montagna. Non poco. «Attenzione però − mette in guardia Lombardo tutte le volte che racconta la storia di Ostana sui giornali e alle telecamere di mezzo mondo −, la scommessa si vince solo se la comunità è protagonista. E così è stato qui. Non potrebbe essere diversamente. È la comunità che vince la scommessa e guarda al futuro. La comunità affascina, conquista. Anche per questo nuove persone vorrebbero venire ad abitare qui. Alcuni hanno trovato un lavoro e comprato casa. Altri hanno recuperato i loro ruderi e reso il paese più bello».

 

La bellezza è un altro fattore che fa bene. Non a caso Ostana è stata inserita cinque anni fa nel circuito dei Borghi più belli d'Italia. Non si può stare fermi. Lo insegna Silvia tra i tavoli della Galaberna o Bruno che ha creato il "Bosco incantato" dedicato a bambini e a chi non lo è più. Oppure quel gruppo di giovani imprenditori, con le loro start up a Torino, che ha messo gli occhi su Ambornetti, l'ultimo borgo ancora da recuperare. Oltre quattro milioni di euro di investimento previsti per creare, dal 2016, un villaggio tecnologico che dà lavoro e crea innovazione.

 

È l'altra faccia della montagna che vince. Nuto Revelli, che proprio su queste montagne ha iniziato la lotta partigiana, ne sarebbe contento. Montagna che a piccoli passi prova a rimettere in moto il territorio, per dirla con gli economisti. Rinasce politicamente e antropologicamente, affermano studiosi e ricercatori universitari spesso qui per simposi e incontri. Più, semplicemente, è la montagna che sceglie di essere di nuovo comunità, di condividere e di rinascere. Con le idee e la bellezza dell'incontro tra chi è sempre vissuto qui e chi ha scelto di tornare.

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