Ossios Loukàs e l’invasione dei bulgari
Uno dei capolavori dell'arte bizantina è il monastero che si trova alle pendici occidentali del Monte Elicona.
A metà strada tra la Boezia e la Focile, accanto all’acropoli di Stiri. Le pietre del tempio di Demetra che si ergeva in essa, sono servite alla costruzione delle due chiese del convento. Si tramanda che, ad un paio di chilometri da Ossios Loukàs, Edipo abbia ucciso Laio, re di Tebe, senza sapere che si trattava di suo padre.
L’immersione nella mitologia e nella storia greca qui è avvolgente. Le stesse vicende del santo e del monastero a lui dedicato permettono di rivivere un millennio di storia: Ossios Loukàs nacque infatti nell’896, da Stefano ed Eufrosine, terzo di sette figli. Già a 14 anni seguì due monaci ad Atene e divenne anch’egli monaco. Si ritirò sul Monte Imetto, per poi farsi cenobita. Per sfuggire alle incursioni barbariche, si trattenne a Zemenò, per dieci anni, a fianco di una colonna. Più tardi, per salvarsi questa volta dai Turchi, si rifugiò per tre anni ad Ambelona. Solo nel 946 si installò nel luogo dove oggi sorge il monastero.
La sua fama di umiltà, amore e fede attirò numerosi benefattori, tanto che già nel 950 iniziò la costruzione della prima delle due chiese del monastero, allora dedicata a Santa Barbara, ed oggi alla Vergine Maria. Ma morì prima che fosse completata, nel 953, dopo aver previsto la sua morte un anno prima. Ossios Loukàs era in effetti dotato di capacità profetiche: previde l’invasione dei bulgari e la liberazione di Creta dal dominio arabo. Nel 1204 il monastero fu gravemente danneggiato dall’invasione franca e nella guerra d’indipendenza, nel 1821, divenne il quartier generale dei partigiani della libertà greca.
Scendendo al monastero dalla strada di accesso, si rimane stupiti dalla sua imponenza, ma pure dall’eleganza tutta bizantina degli esterni in pietra e mattoni, armonizzati con attenzione e perizia. Un monaco controlla all’ingresso la pudicità dell’abbigliamento dei visitatori, e li fornisce di pesanti indumenti, se il caso. Come il mio.
Scendendo al monastero dalla strada di accesso, si rimane stupiti dalla sua imponenza, ma pure dall’eleganza tutta bizantina degli esterni in pietra e mattoni, armonizzati con attenzione e perizia. Un monaco controlla all’ingresso la pudicità dell’abbigliamento dei visitatori, e li fornisce di pesanti indumenti, se il caso. Come il mio.
Eppure ben presto dimentico la blusa e i pantaloni della censura. Entrato nel cortile grande del convento, vengo in effetti catturato dalle note arcane – o quanto arcane! –, d’un coro ortodosso, rigorosamente maschile, che gioca la sua forza sui bassi e sui baritoni, che avvolgono con le loro voci l’ascoltatore, come in un mantello di serenità e di gravità. Seguendo le note, penetro in un luogo incantevole per la frescura e l’oro che brilla in ogni angolo della chiesa di Ossios Loukàs, la più vasta del monastero. I vocalizzi sembrano rianimare i santi rappresentati nei mosaici – Anempòdistas, Pagàsias, Achyudinos, Afthoinios e Elpidefòros –, mentre le sante – Tecla, Elena, Agata, Anastasia, Febronia ed Eugenia – sorridono in contemplazione.
Il canto liturgico dà vita, trasmette vita, perpetua la vita. Ed è con questi sentimenti che passo dal nartece alla navata, ma senza ancora trovare l’origine di quelle note. Ed è così che vengo trascinato nella seconda basilica, quella della Vergine Maria, legata alla prima da uno strano incrocio: due gradini sconnessi dell’angolo sud-ovest della chiesa più antica penetrano nell’angolo nord-est della chiesa meno antica.
Curiosità dell’affastellamento dei secoli. Dall’oro, si passa al più estremo spogliamento. Nessun mosaico nella chiesa della Vergine Maria. Ma le note del coro qui appaiono ancora più spirituali, meno estetiche e meno politiche. Paiono essenzialità. Il coro – solo quattro cantori vestiti di nero e collo sguardo altrettanto scuro – lo trovo sotto le uniche pitture della chiesa, accanto all’altare: sant’Ignazio Teoforo e san Policarpo. Santità antica.
(dal blog di Michele Zanzucchi)