Ossezia del Nord. Nel silenzio delle guerre
Marschrutka. È il nome che in Russia danno ai taxi collettivi. Non hanno orari, partono quando si riempiono di 14 passeggeri. Nel nostro, che collega Nalcik a Vladikavkaz – le capitali della Cabardino Balcaria e dell’Ossezia del Nord -, si sistemano donnone dai denti d’oro e ragazze nel fiore degli anni, bambini albini e giovani un po’ su di giri. Il marschrutka corre a 120 e tutto trema, in un’ora e mezzo siamo a destinazione. Sullo sfondo delle vette innevate del Caucaso, il fiume Terek divide la città all’altezza della moschea ottocentesca, ingentilita da due minareti che potrebbero essere campanili: ciò svela come qui i musulmani abbiano peculiarità difficili da azzerare. Al di là del fiume un parco ospita la domenicalità spensierata della gente. E oltre il verde si apre il centro della città che appare tutto tranne che vetero-sovietica: le costruzioni fine XIX secolo sono decorose, talvolta belle quando assumono uno stile liberty. I fidanzati immortalano il loro amore dinanzi alla statua di Lenin che svetta altera e amata – oh quanto amata! – dagli abitanti di Vladikavkaz. I politici post-sovietici Eccoci alla scoperta dell’Ossezia del Nord, repubblica assai complessa (vedi i due box), attraverso le voci di alcuni suoi illustri personaggi. La si conosce così poco da noi, che è meglio scoprirla attraverso le parole di chi ci vive… Si inizia dai politici, paiono tutti giovanissimi. Come Taimuraz Kassaev, ministro per gli Affari delle etnie: Sono più di un centinaio – ci spiega -, di 14 religioni. I processi politico-sociali e i conflitti, ora sopiti, creano delle tensioni che bisogna comporre: ogni gruppo è uguale di fronte allo Stato e alla legge. Uno di questi conflitti è quello con l’Inguscezia, per la minoranza inguscia che abita a Prigorodny, tra Vladikavkaz e Nasran: I fatti parlano: l’80 per cento dei profughi del 1992 sono tornati alle loro case: erano 32 mila, sono 25 mila. La guerra era scoppiata in zone rurali precarie: stiamo creando nuova occupazione. Scuole e asili saccheggiati sono ricostruiti, e così le infrastrutture . Gli ingusci non la pensano allo stesso modo, ovviamente, e reclamano la loro giustizia. I conflitti continueranno? Il Caucaso – risponde il ministro – è una regione autosufficiente, dove la gente crede nel dialogo tra etnie e religioni. Ma, giocando sui punti deboli della catena, la destabilizzazione è facile da ottenere. Si comincia però a capire che a furia di farsi la guerra si arretra. Altro ministro, Eduard Galasov, 35 anni, pare un culturista ma è addetto alla cultura. Come difendete le tradizioni? Non si può resistere alla cultura capitalista; meglio sostenere quella ossetina, così distinta dalle circostanti: nelle scuole ora si insegna l’ossetino. Questa protezione della nostra identità non va a discapito della relazione con le culture dei dintorni, con cui l’integrazione è ardua. Prospettive? Abbiamo i fondi per costruire un grande museo e un auditorium dedicato al nostro più grande artista, Valerij Gergiev, direttore del teatro Marinskij a San Pietroburgo. I politici rivendicano come ovvio, i risultati della loro politica, che qui, a dire il vero, ha più successo che sulle altre repubbliche ciscaucasiche. Anche se la precarietà è palpabile… Tutti insieme, sovieticamente Qui in Ossezia l’Urss sopravvive, nel bene e nel male. Ne abbiamo una conferma incontrando, su invito alla sovietica del governo, l’associazione Nostra Ossezia i cui membri sembrano uscire da un museo del bolscevismo. Viaceslav Lagkuev, il presidente è nostalgico del periodo in cui, sovieticamente, tutti erano uguali. Il gruppo federa 29 associazioni etniche. Dopo la caduta dell’Urss – spiega – abbiamo voluto evitare che tante società etniche portassero alla deflagrazione della repubblica. Temevamo che i conflitti inguscio- ossetino e ossetino-georgiano portassero al peggio. I profughi erano migliaia, bisognava agire. Comincia così una lunga serie di interventi volti a convincerci che qui tutto va bene. Ma c’è ancora tanta ideologia, nonostante la convinzione di questa gente. Interviene così il suo vice: I giornalisti sono un fattore di destabilizzazione. Putin non è un dittatore, come dicono. Andiamo verso la democrazia, ma alla sovietica . Interviene un ebreo: A differenza dei Balcani, noi vogliamo rimanere uniti: qui non esistono problemi tra le etnie, sono invenzioni giornalistiche!. Il georgiano, sulla carta il nemico: Siamo due popoli con la stessa fede cristiana, ma gli ossetini sono una sola etnia che deve essere riconosciuta. Non si capiscono le ragioni della guerra del Sud, ci sono tanti matrimoni misti!. Interviene il daghestano: Abbiamo le migliori acque del mondo . E la tatara: E le migliori montagne. L’azero: Riapriamo le frontiere…. Ma si accorge dell’errore e si corregge: Bisogna cacciare gli Usa dal Caucaso per riaprire le frontiere. Gente del Libro C’è un altro aspetto che ci colpisce qui in Ossezia, in qualche modo è per noi una sorpresa: nonostante il comunismo, il popolo ha conservato una sua religiosità. Non è un paradosso che tanti abbiano nostalgie sovietiche e coltivino una fede autentica: la gente del Libro qui è in effetti il principale fattore di stabilità, salvo quando prende derive radicali, assai di rado. In un’ala di un palazzo liberty di vezzosa bellezza, veniamo introdotti in un mondo parallelo, quello ebraico. Il prof. Mark Petruscianski è fiero: La nostra comunità conta 1200 membri, quanti erano prima della rivoluzione, con la differenza che allora erano ebrei puri, ora non più. La piccola sala di preghiera ospita una ventina di uomini e una decine di donne. Qui non c’è mai stato antisemitismo e pogrom – ci dice -. Abbiamo un buon rapporto con tutti, come testimoniano (purtroppo) i tanti matrimoni misti. Dall’ebraismo all’Islam. L’aiutomuftì, Dzhinghiz Tuganov, siriano in Ossezia, mi fornisce dati sulla presenza musulmana poco credibili: un 30 per cento di islamici qui è difficile da immaginare. In massima parte stranieri, sarebbero ripartiti in 18 moschee. Ad una domanda sulla presenza dei wahhabiti, rifiuta anche solo di crederci, nonostante la strage terrorista di Beslan. Nonostante il viceministro degli esteri, anch’egli musulmano, poco prima ci raccontasse dello smantellamento di una cellula wahhabita nella capitale: un paio di militanti ancora in prigione e una dozzina di stranieri espulsi. Chiunque uccide gente inerme non è musulmano, sentenzia il muftì che condanna i wahhabiti che girano con pacchi di dollari. Gente del Vangelo Infine i cristiani, la maggioranza ortodossa e le minoranze cattolica e armena; una serie di incontri che ci mostrano la vivacità della Chiesa in questa terra, in un reale sforzo ecumenico di coalizione. Attorno a un cimitero che mantiene una sua bellezza, ecco la chiesa Ilinskaja. Pope Vladimir è il parroco ortodosso. L’Ossezia è un Paese cristiano in cui l’ortodossia ha sempre resistito, malgrado alti e bassi – ci dice -. Persino sotto Attila e Tamerlano. Ma solo dopo l’unione con la Russia, nel 1774, è ricominciata una autentica pratica, quando la Bibbia fu tradotta in ossetino. Il pope si lamenta: I preti sono quattordici in una città di 360 mila persone, le chiese sono poche e si riempiono di giovani! Abbiamo introdotto la pratica dei battesimi di massa, fino a mille alla volta. Non riusciamo a preparare i catecumeni, ma il battesimo non lo rifiutiamo mai, anche se c’è necessità di una solida struttura di catechisti, per spiegare alla gente che l’importante non è la tradizione ma la convinzione . La chiesa armena ha invece 160 anni, costruita secondo i rigorosi canoni della tradizione armenoapostolica. Ci attende il parroco, padre Gevorg, viene da Yerevan, un uomo sostenuto da un sincero amore per la sua tradizione. 30 mila sono i suoi fedeli. I rapporti con le altre Chiese – spiega padre Gevorg – sono di massima cordialità. Pensi che i cattolici, prima di ottenere una loro chiesa, venivano qui per celebrare le loro liturgie. E siamo vicini anche perché collaboriamo per lenire piaghe sociali come l’alcolismo e la droga, su invito del governo. Coi musulmani ci capiamo e ci rispettiamo. Infine, a due passi dal palazzo presidenziale, all’ingresso di una casetta decorosa verde acqua, una placca indica la parrocchia romano- cattolica. Qui vive padre Janus, polacco sulla sessantina. Sul cortiletto si affacciano la sua modesta abitazione e i locali parrocchiali, con una cappella per una cinquantina di persone. Racconta della sua comunità con un affetto struggente: È composta da immigrati e da qualche ossetino. Non c’è una sola famiglia cattolica, qui a Vladikavkaz. Quando sono arrivato, cinque anni fa, erano 18. Conosco tutti, so i loro drammi e miserie, ma anche gli eroismi… Una piccola parrocchia rischia di chiudersi, ma è una famiglia: qui il sacerdote sente di essere sostenuto dalla gente, che gli è riconoscente per il solo fatto di avere un prete stabile. La repubblica ossetina è insomma la sola a maggioranza cristiana nel Caucaso settentrionale. Anche per questo può essere fattore di stabilizzazione e di dialogo in una terra che non ha pace. DIVISI DAL CAUCASO 8.000 km² per 710 mila abitanti, di cui 415 ossetini e 200 mila russi. Nonostante i conflitti, è la repubblica più prospera del Caucaso settentrionale. L’urbanizzazione e lo sviluppo industriale sono i più alti rilevabili nell’area. C’è un po’ di gas e di petrolio. Forte l’allevamento di bestiame. L’Ossezia ha due conflitti aperti: quello con l’Inguscezia per il controllo di Prigorodnyj (assegnata alla Ossezia solo nel 1944) e quello con la Georgia per il controllo dell’Ossezia del Sud, in zona transcaucasica, dove vive una minoranza ossetina. MA GLI OSSETINI DA DOVE VENGONO? Un monumento nel parco di Vladikavkaz è dedicato al Dante ossetino, Kostà: Lasciate che ci si prenda per mano/ come fratelli quest’oggi/ uomini d’Ossezia e vicini. Ma come, fratelli? E le infinite etnie caucasiche in lotta tra loro? Tamerlan Kambolov, filologo, e lo storico Ruslan Bzarov, insegnano alla Statale. Chi sono gli ossetini? Strabone, il geografo – ci spiega Kambolov – parla di alani e sarmati, i nostri antenati che avevano preso un nome ariano a contatto con gli iraniani (alano viene da ariano). Fino agli anni Novanta questa filiazione era data per certa; poi alcuni studiosi si sono chiesti se i siti alani non fossero stati frequentati anche da altre genti. Ciò avrebbe confermato – come poi è avvenuto – la natura e la vocazione delle etnie caucasiche: incontrarsi, scontrarsi, coabitare, mescolarsi e ritrovarsi fratelli. Insomma, non esiste una purezza etnica nel Caucaso, e chi volesse dimostrarla si sbaglierebbe. Il prof. Ruslan Bzarov ci porta da par- te sua a ritroso nel tempo: L’attuale Ossezia, dal punto di vista territoriale è un residuo del regno alano, che si estendeva fino a Volga e Don. Fu allora che Attila e gli unni – era il IV secolo -spinsero una parte degli alani verso la montagna, mentre i rimanenti emigrarono ad ovest: nelle Alpi, ad esempio, si trova… Alano del Piave. Poi le invasioni mongola (XIII secolo) e tatara (XIV secolo): Tamerlano cacciò gli alani che sopravvissero nelle montagne. E la cristianizzazione? La tradizione vuole che risalga all’apostolo Andrea; ma la vera evangelizzazione risale al X secolo: questa c’è la più antica cristianità di Russia.