Violenza di genere: vittime 3 donne su 10

Secondo dati dell’Istat, i casi di violenza si sono più che raddoppiati durante il periodo di pandemia nel nostro Paese. Per assistere le vittime, è fondamentale stabilire una solida rete con tutti gli attori specializzati. Intervista a Marzietta Montesano, infermiera epidemiologa dell’Ospedale Sant’Andrea e referente del pool di intesa contro la violenza

La violenza di genere è un fenomeno crescente che colpisce oltre il 30% delle donne italiane, secondo gli ultimi dati dell’Istituto nazionale di statistica (Istat). Si tratta di un problema sociale che viola i diritti umani e arriva a tutte le categorie sociali. Per fornire un intervento adeguato e integrato nel trattamento delle conseguenze fisiche e psicologiche che la violenza maschile produce sulla salute della donna, il 24 novembre 2017 sono state adottate le linee guida nazionali rivolte alle aziende sanitarie e ospedaliere. Queste linee guida delineano un percorso per accompagnare e orientare in maniera tempestiva le donne che subiscono violenza, sin dal primo contatto con l’ospedale.

In questa prospettiva, l’Azienda Ospedaliera-Universitaria Sant’Andrea di Roma è diventata un modello di eccellenza, come sottolinea la dottoressa Marzietta Montesano, infermiera epidemiologa dell’ospedale. In base alle linee guida, si è costituito un pool di intesa, ovvero un gruppo multidisciplinare che ha come obiettivo di accogliere la persona vittima di violenza, per poi condurla all’inserimento sociale attraverso un percorso di fuoriuscita dai contesti di violenza. «La particolarità deriva dal fatto che il nostro è un percorso clinico assistenziale indirizzato a tutte le persone che subiscono violenza: donne, uomini, bambini, anziani… – spiega Montesano, riferente del pool di intesa –. Inoltre, si spera di istituzionalizzarlo mediante l’applicazione della pena ai carnefici».

Per quanto riguarda il modus operandi, la principale attività è quella di seguire la vittima durante la fase di emergenza. La maggior parte di loro arriva tramite il Pronto Soccorso, il quale segue un protocollo contrassegnato dal Codice Rosa, uno spazio riservato a tutte le vittime di violenza, che oltre all’assistenza fisica e psicologica garantisce informazioni giuridiche.

Poi, il compito è seguire il percorso di accompagnamento e mantenere un contatto continuo con la vittima, formare, informare e mettere in contatto tutti gli specialisti – operatori sanitari, medici, psicologi, assistenti sociali, avvocati, giuristi –, per una ripresa integrale della persona. In questo senso, diventa fondamentale costruire una rete anche all’esterno, con le associazioni, le quali vanno indicate alle vittime. Ad esempio, risulta importante coinvolgere la Croce Rossa italiana dato il suo ampio campo di lavoro, formando tutti i volontari per dare la massima garanzia.

L’AOU Sant’Andrea offre dunque un servizio gratuito di emergenza, e fornisce anche assistenza sul territorio, rivolgendosi a tutta la rete. Infatti, il sistema sanitario italiano mette a disposizione una serie di servizi ospedalieri e ambulatoriali, sociosanitari e socioassistenziali al fine di assicurare un modello integrato di intervento.

«Quella della violenza è una battaglia non facile, perché si tratta di un problema culturale. Quando si tratta di violenza psicologica, il malessere psicologico può provocare a sua volta delle malattie fisiche, per cui non è affatto un fattore da sottovalutare», assicura Montesano. Tuttavia, ci sono casi nei quali la violenza è molto subdola, per cui risulta più difficile individuarla. Come agire in quelle circostanze?

La dottoressa Montesano afferma che «qui è importante il ruolo dello psicologo, saper accogliere e capire la complessità della situazione. Uno strumento molto valido sono gli indicatori del metodo SARA (Spousal Assault Risk Assessment), ossia la valutazione del rischio di recidiva. Questo sistema ha una funzione predittiva e preventiva nel determinare quanto un uomo maltrattante sia capace, a breve o lungo termine, di usare nuovamente violenza sulla vittima, in base a di dieci fattori di rischio). In ogni caso – continua l’infermiera – il messaggio da trasmettere è che ci sono delle persone pronte e preparate per difendere le vittime».

Infatti, nel periodo 2019-2020 il Ministero della Salute con l’Istituto Superiore di Sanità ha aggiornato ed esteso a tal fine il Programma di Formazione a distanza (FAD) “Prevenzione e contrasto della violenza di genere attraverso le reti territoriali” a tutti i Pronto Soccorso in Italia.

Nel caso del Sant’Andrea, il progresso è stato, secondo la riferente del pool di intesa, che dal 2018, nei casi delle persone a cui hanno assistito, i carnefici sono stati arrestati tempestivamente, grazie anche a quanto stabilito nel Codice Rosso –la legge della Repubblica Italiana a tutela delle persone che subiscono violenze –, ovvero che la vittima deve essere ascoltata entro i tre giorni da quando chiede aiuto. «C’è un ottimo rapporto con le Forze dell’Ordine, che lavorano con noi per la protezione della vittima», sottolinea Montesano.

Un altro aspetto da considerare è l’evoluzione delle richieste di aiuto durante il periodo di pandemia. I dati dell’Istat indicano che nel periodo marzo-giugno 2020 le chiamate al numero antiviolenza 1522 sono più che raddoppiate (+119,6%) rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente, passando da 6.956 a 15.280. Paradossalmente, l’Ospedale ha ricevuto meno vittime durante quel periodo per un motivo chiaro, spiega Montesano: «Bisogna avere una via di fuga che durante questa crisi non c’è stata, un contatto con le istituzioni per poter proteggersi. Quindi la pandemia non ha aiutato, anzi ha originato più casi data la costrizione a vivere con il carnefice».

Il trauma di una violenza fisica o psicologica produce conseguenze negative anche a lungo termine, e ha forti ripercussioni di carattere sociale. Per questo motivo, questa problematica riguarda tutta la società, non solo chi la subiscono in prima persona. Per sradicare questa piaga «è fondamentale promuovere campagne culturali, campagne di sensibilizzazione, iniziare dalle scuole primarie per affrontare la violenza in maniera preventiva. È cruciale intervenire presto – assicura Montesano –. Secondo gli studi, un bambino che assiste alla violenza nell’ambito domestico ha più probabilità di ripetere questi atteggiamenti e convertirsi in un potenziale carnefice, per cui il bambino va accompagnato. Inoltre, lo Stato potrebbe creare delle strutture capaci di incidere. Evidentemente la questione è come intercettare la violenza quando i comportamenti violenti vengono considerati ‘normali’. Perciò, dovrebbero destinarsi fondi a organi di controllo e gestione istituzionale perché possano intervenire dal punto di vista culturale. Il carnefice ha un suo vissuto e non va lasciato solo».

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