Oscar Arnulfo Romero, amico del vangelo e dei poveri

Romero

È il primo martire della chiesa dei poveri, annunciata da papa Giovanni. Nel radiomessaggio a un mese dall’apertura del concilio, nel settembre 1962, il papa affermava: «Di fronte ai paesi sottosviluppati la Chiesa è e vuole essere la Chiesa di tutti e in particolare la Chiesa dei poveri».

Una parola che anche oggi mantiene tutta intera la sua forza evangelica, e che ha il suo pieno compimento nella predicazione, nelle parole e nei gesti di papa Francesco.

 

Tra l’inizio del concilio e l’uccisione del vescovo Romero passano diciotto anni. In questo periodo c’è tutto il Concilio con la sua prima ricezione, e c’è la Populorum Progressio di Paolo VI, che in un suo paragrafo sorprendente giustifica, sia pure in via eccezionale, la lotta e l’insurrezione armata.

 

Sono gli anni di Che Guevara e don Camillo Torres, quando si pensava di far sorgere dalla guerriglia una rivoluzione, di cui anche i cristiani potevano e dovevano diventare protagonisti.

 

Sono gli anni di Medellin e di Puebla, le due grandi conferenze episcopali latino/americane dove progressivamente si prendono le distanze dalla giustificazione della lotta armata, ultimo debito alla teologia della guerra giusta applicata in un contesto rivoluzionario

 

Sono gli anni dei regimi militari di una violenza senza limiti, dal Brasile all’Argentina, al Cile, al Nicaragua, fino al Salvador, dunque un contesto assolutamente tragico. Paesi di tradizione cristiana, dove anche la Chiesa è messa a dura prova. Il suo tradizionale anticomunismo la spinge in parte a sostenere la dottrina della sicurezza nazionale e quei regimi violenti che perseguitano e uccidono i cristiani amici dei poveri.

 

Dunque assistiamo al paradosso che il martirio dei cristiani è prodotto da altri “cristiani” che uccidono nel nome di Gesù.

 

In questo quadro va compresa la storia del vescovo amico dei poveri. È noto che la “conversione” di mons. Romero avviene in una notte di veglia, davanti al cadavere di un suo amico gesuita, padre Rutilio Grande, ucciso anche lui perché amico dei poveri.

 

Ciò che muore in padre Rutilio rinasce però a nuova vita in questo vescovo, che fa della parola pubblica e della difesa concreta e quotidiana dei diritti dei più deboli il suo programma pastorale secondo il vangelo.

 

Il suo spazio non è la politica, le alleanze, gli interessi dei gruppi popolari o di quelli imprenditoriali. Il suo spazio è la liturgia. La sua predicazione consola il suo popolo. Si raccontano omelie lunghissime, che arrivano all’anima di questo paese attraversato dalla guerra.

 

La sua morte avviene presso un piccolo ospedale, durante la liturgia della messa, la sera del 24 marzo 1980, quando appena conclusa una breve omelia inizia l’offertorio. Mentre presenta l’offerta, una pallottola gli colpisce il petto e in esso esplode. Colui che gli spara, come dicono i vangeli, credeva di onorare il nome di Gesù.

 

Di fronte ad una morte da martire, perché si è aspettato cosi tanto tempo a riconoscere la santità canonica di questo vescovo? Ecco la vera domanda. La morte martiriale di mons. Romero è stata al tempo stesso dono e giudizio di Dio: dono perché ha sigillato la Chiesa dei poveri come Chiesa santa del Signore, ma al tempo stesso giudizio sui ritardi, le lentezze e le riserve che hanno abitato anche la curia, ostile a questo vescovo senza forza e senza potere e proprio per questo amico dei poveri e amico di Dio.

 

Mentre i militari del regime “cristiano” del Salvador sparavano al petto di questo vescovo, senza protezione così come i suoi poveri, si creava il mito del Romero politico per delegittimarlo nel suo essere vescovo, per isolarlo e colpirlo nel suo cuore e nella sua vita, nella sua identità e nel suo onore evangelico.

 

Ad un anno dalla canonizzazione di papa Giovanni, oggi si celebra la beatificazione di questo straordinario vescovo. Verrebbe da dire che papa Giovanni l’abbia preso per mano per condurlo al trono di Dio e dell’agnello, perché la nube dei poveri del Signore lo accogliesse nella festa.

 

Papa Giovanni e mons. Romero, angeli di papa Francesco che ci chiama all’obbedienza, perché «il Signore vuole una chiesa povera e che evangelizza i poveri».

 

In un attimo il Signore ha portato tutto a compimento. I ritardi della Chiesa sono stati giudicati e perdonati e domani a San Salvador mons. Romero, il santo martire dei poveri, consegnerà la sua parola e la sua vita al mondo del cielo e della terra, perché nessuno sia escluso, neanche i suoi assassini.

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