“Ormeggi sicuri”. Una nuova politica dell’accoglienza ad Atene

12  neo-amici provenienti da diverse province della Lombardia si sono ritrovati nella capitale greca per un’esperienza di servizio: impegnarsi in prima persona con associazioni attive nell’accoglienza e nell’aiuto ai migranti.

 

“Non bisogna mai avere paura dell’altro perché tu, rispetto all’altro, sei l’altro” (marzo 2011). Così in un’intervista diceva Andrea Camilleri, scrittore scomparso qualche settimana fa, ricordando a tutti noi che considerare gli altri come tali e provare diffidenza e sospetto nei loro confronti dipende esclusivamente dalla nostra percezione: è un gioco di specchi, di sguardi riflessi che pretendono di etichettare chi non conosciamo, chi è (o semplicemente sembra) diverso da noi per lingua, per colore della pelle, per religione….e per questo ci fa paura.

Il concetto di Altro-Diverso, e del timore che egli suscita in noi, ha inizio laddove si spegne la volontà umana di capire e di confrontarsi. Siamo portati a tracciare una linea di demarcazione netta fra noi e gli altri; un mare che isoli i nostri spazi, le nostre radici culturali e convinzioni affinché non vengano “contaminate” dall’esterno.

Per fortuna però non è sempre così. E demolire questa distinzione, smontare i pregiudizi e i clichè per dedicarsi agli altri e instaurare con loro un dialogo generativo è stato il filo conduttore di una vacanza solidale in Grecia che ho deciso di intraprendere lo scorso luglio, insieme ad un gruppo di nuovi amici.

Scelgo di riportare in questo articolo le mie impressioni ma anche le loro, dal momento che l’esperienza è stata vissuta in comunione e ci ha consentito di stringere legami.

 

“Quest’anno, invece della solita vacanza, ho pensato di volerne fare una diversa – dice Camilla -, così sono partita per la Grecia, invitata da un amico, perchè volevo spendermi per qualcosa di concreto”. Alcuni amici di amici, che già lo scorso anno avevano preso contatti con la Caritas Hellas e la Ong Ararat e la Comunità Papa Giovanni XXIII,  ci hanno proposto una vacanza che combinasse il volontariato con l’opportunità di conoscere il mondo e scoprire nuove culture sul campo. Con lo stesso spirito di Camilla ho preso parte anch’io a questo viaggio, che si è tenuto ad Atene presso il centro della Chiesa Armeno-Cattolica dove, oltre a noi, risiedevano circa quindici giovani rifugiati provenienti da Siria, Yemen, Iraq e altri paesi del Medio Oriente.

 

In una città afosa, dal fascino decadente, le associazioni di volontariato locali ci hanno coinvolto in molteplici attività da fare con per i profughi: dal preparare la cena con pochi semplici ingredienti (con Claudio della Papa Giovanni XXIII) al predisporre indumenti puliti che potessero essere donati a chiunque avesse bisogno (con Elena e Katia della Caritas), dalla manutenzione del giardino alla decorazione di una parete del Centro armeno, fino agli interminabili giochi con i bambini sotto il sole rovente.

“C’è stato un grande coinvolgimento umano, ma anche una forte crescita personale – continua Camilla -. Mi sono accorta che per cambiare le situazioni bastano pochi semplici gesti e che ciascuno, nel suo piccolo, può fare la differenza”.

“L’attività che ho apprezzato di più è stata l’Unità di strada con Fabio (della Papa Giovanni XXIII) per consegnare pane e vestiti agli indigenti. Girando tra i moli del Pireo, siamo riusciti ad interagire con i senza tetto e a scoprire che molti di loro non erano immigrati, ma greci che avevano perso il lavoro a causa della crisi economica”, racconta Giorgio; mentre per Emanuele “è stato incredibile prestare servizio alla “Capanna”, una residenza che due volte a settimana accoglie i poveri. Lì si offre loro un pasto caldo, un letto, la possibilità di fare quattro chiacchiere con chi è di passaggio e dare – anche se per poco – un’esperienza di casa.”

 

Toccare con mano una realtà sociale così diversa da quella cui ero abituata, è stato uno schiaffo ben assestato in pieno volto. Sono sempre stata consapevole della povertà e della precarietà sociale e umana che affligge varie parti del mondo, ma le ho sempre percepite distanti e inafferrabili, forse nemmeno così tragiche come media e stampa vorrebbero farmi credere. E invece lo schiaffo mi ha risvegliata dal torpore nel quale avevo vissuto finora. Mi ha obbligata a lasciare alle spalle ogni refrattaria titubanza, pronta a mettermi in campo cercando di conoscere da vicino questi altri e creare un contatto con loro.  Il risultato è stato sorprendente. Nel momento stesso in cui tendi la mano e offri aiuto, si innesca un meccanismo che annulla le diversità e le barriere linguistiche: ognuno raccoglie i cocci della propria storia, per quanto dolorosa essa sia, e diviene parte di un Tutto. “Arrivi lì, ti guardi intorno e in pochi istanti comprendi quanto sia importante uscire da sè stessi e fare un passo verso gli altri -, confida Lisa -. Sono rimasta particolarmente colpita dai volontari che operano lì da parecchio tempo. Sono eroi silenziosi del quotidiano, che con le loro azioni testimoniano un modello nuovo di relazione con gli altri e ci insegnano che tutti abbiamo gli stessi diritti”.

C’è una bellissima parola in greco antico, Xenìa, che racchiude in sé il concetto di ospitalità e di accoglienza e che, guarda caso, condivide la stessa radice di un’altra parola greca, Xénos, straniero. Si nota subito la profonda compenetrazione che esiste fra questi due termini, l’uno insito nell’altro. Non c’è straniero che non venga accolto. Questa politica della solidarietà e dell’accoglienza, dell’aprire la propria casa e offrire ormeggi sicuri all’altro è l’atteggiamento a cui si ispirano i tanti volontari operanti ad Atene, in Grecia, in tutto il mondo.

 

“Oltre alle attività solidali siamo riusciti a trascorrere alcuni giorni al mare e a visitare le antiche città greche, come Micene – racconta Giovanni -. È stata un’esperienza formativa a 360 gradi, che mi ha dato la possibilità di creare nuovi legami e che consiglierei a tutti i miei amici”. In effetti una delle particolarità di questo viaggio è stata l’aver alternato momenti di servizio a momenti di tempo libero, dedicati a musei e ad escursioni presso vari siti archeologici, senza dimenticare di gustare piatti tipici, come l’ineguagliabile pita gyros (particolarmente apprezzato da alcuni di noi!).

Anche Luca, al termine dell’esperienza, fa un bilancio: “Torno a casa con due grandi consapevolezze. Prima di tutto ho capito che sono le piccole buone azioni a trainare il mondo; e poi ho realizzato che è necessario abbattere le barriere del pre-giudizio; è necessario creare un ponte verso l’altro, in modo da promuovere un dialogo che sia fecondo e arricchente.”

Non è facile restituire a parole tutto ciò che la vacanza solidale in Attica ha rappresentato per me e per i miei nuovi amici, perché l’esperienza vissuta non si compone solo di azioni e gesti volti ad aiutare chi avesse bisogno, ma si tinge di emozioni, di sfumature diverse di volta in volta provate. Non è sufficiente raccontare (e poi leggere) ciò che abbiamo fatto; c’è sempre stata una componente cognitiva e spirituale che ha fatto da perno ai nostri dieci giorni trascorsi nella capitale greca. Ci ha arricchiti, ci ha sospinti a fare nuovi incontri, ad ascoltare le storie di alcuni rifugiati e – ogni tanto –  a commuoverci. Ha dato vita ad una sottile complicità tra noi, giovani italiani pieni di belle speranze, e questi altri, così diversi eppure così uguali a noi. Uomini e donne dal passato sdrucito, desiderosi di ricrearsi una dignità e una storia, ma apolidi in una terra straniera che forse non sono ancora pronti a chiamare “casa”.

 

 

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