Organizzando la speranza
Una Chiesa che scende in piazza anche se il clima fuori è avverso. Forse è questa l’immagine che più di altre sintetizza l’incontro del papa con la città di Napoli. Piove e tira vento in terra partenopea, le temperature vanno a picco il 21 ottobre, data della visita di Benedetto XVI che qui era già venuto, ma da cardinale. E trova un grande fermento. Organizzare la speranza. Era stato l’invito che il papa precedente, Giovanni Paolo II, aveva rivolto ai napoletani in uno dei suoi due viaggi in terra partenopea. Una frase che era diventata un programma, incisa nel cuore di chi l’aveva ascoltata come di chi ne aveva sentita l’eco. La speranza cristiana, quella di cui parlava papa Wojtyla, che guarda in Cielo e agisce in terra. Preghiera e carità, oggi come allora, richiamati da Benedetto XVI nell’omelia in piazza del Plebiscito. La seguono con attenzione i ventimila presenti che hanno sfidato le intemperie. Fra di essi numerosissimi i giovani arrivati dalle città campane, gli immigrati di diverse nazionalità che vivono in città, oltre alle personalità di varie Chiese e di altre religioni venute per il meeting interreligioso dei giorni successivi. Trecento senegalesi sono giunti a piedi dal casertano. E i commenti fra la gente sono positivi: Proprio un bel discorso, mi è piaciuto, è il sentire comune. Un intervento essenziale e profondo, in perfetto stile ratzingeriano, che parte dall’alto e scende nelle pieghe del vissuto, nulla tralasciando del travaglio che percorre mente e cuore di chi quotidianamente è impegnato a concretizzare la proposta cristiana. La più grande forza di trasformazione del mondo? Secondo Benedetto XVI è la preghiera, che non è espressione di fatalismo o inerzia, anzi è l’opposto dell’evasione dalla realtà, dell’intimismo consolatorio… ha il carattere dell’agonismo, cioè della lotta per combattere l’ingiustizia e vincere il male con il bene. È la non violenza evangelica perché l’Amore è più forte dell’odio e della morte . Parla poi di braccia alzate, come quelle di Mosè che garantirono la vittoria del popolo di Israele ; e di braccia spalancate, quelle di Gesù sulla croce, che chiedono altre braccia, altri cuori che continuino ad offrirsi con il suo stesso amore. Ed ecco lo sguardo sulla città di Napoli dove non mancano energie sane, gente buona, culturalmente preparata e con un senso vivo della famiglia. Per molti però vivere non è semplice. Povertà, carenza di alloggio, disoccupazione, mancanza di prospettive, violenza, illegalità, cultura dell’arrangiarsi. Li chiama per nome, il papa, i mali di Napoli, invitando a intensificare gli sforzi per una seria strategia di prevenzione, che punti sulla scuola, sul lavoro e sull’aiutare i giovani a gestire il tempo libero. Nella sua lettera pastorale il cardinal Sepe aveva parlato del seme della speranza che può dar vita ad un albero rigoglioso e portare molti frutti. Benedetto XVI riconosce che questo seme a Napoli c’è, agisce, malgrado i problemi e le difficoltà. E conclude indicando il percorso: Napoli ha bisogno di adeguati interventi politici, ma prima ancora di un profondo rinnovamento spirituale. Ed è questo un percorso già avviato: la visita di Benedetto XVI mette in risalto una comunità ecclesiale viva, con un piano pastorale organico condiviso dalle varie componenti, con l’apporto di un laicato maturo, dando fiducia ai giovani, offrendo ascolto a chi è in difficoltà o semplicemente scoraggiato, progettando di nuovo l’organizzazione territoriale della diocesi, pensando iniziative per i minori a rischio, gli immigrati, i disoccupati, gli anziani… L’impronta del card. Sepe è chiara. Ma, dicono in tanti, non è solo uno che sa organizzare; è uno che ci mette il cuore. Napoli è la città della luce e non si fa certo oscurare da qualche nube che attraversa il cielo – dice nel saluto iniziale a Benedetto XVI -. È una città che, tra i tanti doni, ha quello di saper ascoltare e, soprattutto, di saper riconoscere chi sa esserle vicino e sa amarla (…). Napoli vuole guardare avanti, credere in sé stessa, nei propri giovani, nelle proprie importanti risorse, testimoniate da una storia gloriosa e, vorrei aggiungere, certificate dal timbro dell’ineguagliabile bellezza umana, culturale e religiosa che caratterizza la città e i suoi abitanti. Purificare lo sguardo, insomma, per cogliere i motivi di speranza che consentono di affrontare le sfide del presente senza rimanere paralizzati dai mezzi talora inadeguati. Benedetto XVI nel suo soggiorno pur breve compie tra i tanti un gesto significativo: fermarsi in preghiera davanti alle reliquie di san Gennaro, cioè assumere in pieno la grande sensibilità religiosa dei napoletani che hanno fin nelle viscere il culto del santo martire. Uno dei tanti modi per dire che quella pietà popolare che contraddistingue la città, ha il suo valore. Purché non si fermi lì. Preghiera e carità operosa, appunto. Grazie, Ratzinger, torna presto , recita uno striscione all’uscita del duomo. Mentre i bambini di Forcella rincorrono la papamobile. Anche per loro la comunità cristiana, come chi ha responsabilità politiche ed amministrative, deve continuare ad organizzare la speranza . Da Assisi a Napoli Un forum sulla pace, delle Nazioni unite delle religioni, un segretariato esecutivo. Numerose le proposte nella tre giorni del meeting di Sant’Egidio Trecento rappresentanti religiosi con le loro delegazioni a Napoli. Un evento di eventi, quello del meeting della Comunità di Sant’Egidio, perché il programma è ricchissimo e si estende anche alle città vicine. Oratori di spicco e partecipazione di pubblico: un dialogo a tutto campo. La città di Napoli, cosmopolita, un porto aperto a tutti, per cui nessuno è straniero o nemico, come afferma il card. Sepe dando il benvenuto ai convegnisti, ha voluto che il 21° Meeting per la pace si svolgesse qui non solo ospitandolo ma vivendolo con la sua gente, i suoi giovani, coinvolti nei diversi appuntamenti. E il teatro San Carlo come Castel dell’Ovo, il Molo Angioino come piazza del Plebiscito accolgono il variopinto popolo del dialogo. Un popolo dalle molte lingue in cui succede che nei propri discorsi un buddhista citi Madre Teresa di Calcutta, o un ortodosso richiami una frase del papa. O, ancora, che un musulmano faccia riferimento all’intervento di un ebreo. Tutti passi di un dialogo che va avanti e che parte da lontano. Le basi di questa storia non sono state gettate solo vent’anni fa – sostiene il reverendo Gijun Sugitani, consigliere supremo del buddhismo tendai, richiamandosi al primo incontro convocato ad Assisi nel 1986 da Giovanni Paolo II -. Esiste un antecedente chiamato Concilio Vaticano II in cui la Chiesa cattolica ha creduto nella validità dell’ecumenismo e del dialogo tra le varie religioni. Anche il summit religioso che si tiene sul monte Hiei in Giappone – il monte sacro dei buddhisti tendai – è giunto ai vent’anni e in tante parti del mondo il dialogo interreligioso è realtà costruita quotidianamente anche se nel silenzio. Storia antica che si intreccia con la storia più recente, con nuove sfide e mète. C’è, forte, l’impressione che lo spirito di Assisi dopo venti anni abbia raggiunto la consapevolezza che può, anzi che deve spingersi oltre. Perché la rete di rapporti, di conoscenza, di amicizia che si è via via infittita, ha evidenziato sempre più, la necessità di guardare insieme ai grandi problemi dell’umanità e non più solo al rapporto fra le religioni. I campi d’azione non mancano in un momento in cui si riaffaccia la parola terribile: guerra mondiale. La pace non può limitarsi alla cessazione delle guerre e di conflitti militari – sostiene Ezzedin Ibrahim, fondatore dell’università degli Emirati arabi uniti -. Dob- biamo ricercare la pace con madre natura, fermando le aggressioni ecologiche. Vorremmo anche invocare pace per i bambini, tra religioni, per i Paesi bisognosi, per i malati afflitti da malattie incurabili. Pace della mente e dell’anima. Non si ignorano né si tacciono i problemi di tipo politico, le profonde diversità, ed emerge l’interrogativo sul ruolo che religioni e culture in dialogo possono svolgere nella costruzione di un mondo senza violenza, come recita il titolo del meeting. Jean Dominique Durand, della università di Lione, non esalta questo ruolo ma, al contempo ne evidenzia la peculiarità: Il dialogo tra le religioni non potrà risolvere i problemi del mondo né quelli di tipo politico, ma sicuramente, costruendo legami di solidarietà può far emergere la cultura del bene comune . Concetto ribadito da Ishmael Noko, segretario generale della Federazione luterana mondiale: I leader religiosi parlano all’anima delle persone, hanno un’autorità morale, la capacità di coinvolgere chi ha le diverse competenze per la risoluzione dei conflitti. Conferma il direttore generale del gran rabbinato di Israele, Oded Wiener: In molti casi abbiamo visto che, dove i politici hanno fallito, i leader religiosi sono riusciti ad infiammare o a calmare i diversi gruppi. Proibito perdere la speranza anche quando gli sforzi compiuti da alcuni si scontrano con la violenza fomentata da altri, quando la non conoscenza reciproca suscita paura, i pregiudizi rafforzano il sospetto. L’imperativo è non solo quello di fare di più, ma anche di farlo bene, incoraggia Din Syamsuddin, leader musulmano in Indonesia. Condividere con gli altri il proprio vivere ha un valore personale e anche geopolitico, sostiene il presidente del Consiglio Romano Prodi. Di paura degli altri, virus del disprezzo, vertigine della globalizzazione , aveva parlato Andrea Riccardi, che ne aveva anche indicato l’antidoto: La pace è un sogno da realizzare con pazienza e per cui pregare con insistenza (…). I leader religiosi che hanno risposto all’appello di Napoli, credono che la realtà non sia solo quella che si vede, che si compra, che si combatte, che si conquista: è anche il mondo dello spirito. Le religioni non sono una bandiera per combattere. Come aveva già sostenuto il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I: La guerra nel nome della religione è guerra contro la religione. Lo stesso Benedetto XVI che, di fatto aveva aperto il meeting col suo abbraccio, ai leader religiosi aveva detto: Nel rispetto delle differenze delle varie religioni, tutti siamo chiamati a lavorare per la pace e ad un impegno fattivo per promuovere la riconciliazione tra i popoli. Mai, invocando il nome di Dio, si può arrivare a giustificare il male e la violenza. La Chiesa cattolica intende continuare a percorrere la strada del dialogo per favorire l’intesa fra le diverse culture, tradizioni e sapienze religiose. Il dialogo non indebolisce l’identità di nessuno ma provoca ognuno a vedere il meglio dell’altro , recita un passaggio dell’appello finale. E, a conclusione del meeting, Napoli si impegna a istituire un Forum di studio e di ricerca dei percorsi necessari al dialogo e alla pace. La città si candida a diventare capitale mediterranea del dialogo. E nel mare nostrum, a Cipro, dovrebbe svolgersi il prossimo meeting.