Da ordigni bellici a gioielli

Così nascono i gioielli No War Factory, realizzati da artigiani locali del villaggio Ban Naphia nella Piana delle Giare in Laos, dove vengono lavorate le bombe inesplose risalenti principalmente alla guerra del Vietnam

Dal 1964 al 1973 oltre due milioni di tonnellate di ordigni bellici sono stati sganciati sul Laos, di questi il 30% è rimasto inesploso e ancora oggi causa vittime, soprattutto tra i bambini. Tra le zone più colpite c’è la Piana delle Giare, dove sorge Ban Naphia, un villaggio dove gli abitanti, già da diversi anni, hanno iniziato a trasformare l’alluminio ricavato dagli scarti bellici in oggetti di uso comune. Bracciali, ma soprattutto utensili di uso quotidiano come cucchiai venduti poi ai ristoranti con un guadagno che contribuisce allo sviluppo economico del villaggio.

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Da questa tradizione hanno preso spunto Massimo Moriconi e sua moglie Serena Bacherotti, già impegnati, come si legge sul sito, con l’associazione canadese “Adopt a Village in Laos” per lo sviluppo di progetti umanitari nei villaggi rurali, principalmente per quanto riguarda la distribuzione di filtri in ceramica trattati con argento colloidale, indispensabili per rendere potabile l’acqua di tali zone. Dai primi contatti prende vita il progetto No War Factory: i laotiani realizzano i manufatti attraverso una tecnica chiamata “a staffa”, ovvero l’alluminio fuso ricavato dagli ordigni bellici viene colato in stampi di argilla per la produzione dei primi pezzi grezzi, questi vengono poi importati in Italia dove avviene la rifinitura con pietre e argento e i pezzi grezzi diventano gioielli veri e propri. E ad aiutarli a portare avanti il progetto, da gennaio 2019 si aggiunto anche un nuovo socio: Riccardo Biagioni.

Ad essere coinvolte sono invece 13 famiglie dalle quali vengono acquistati i manufatti contribuendo così all’economia di tutto il villaggio. Il 10% del fatturato netto viene inoltre destinato all’acquisto e distribuzione di filtri per l’acqua e alle associazioni di sminamento dei territori. I terreni in cui vengono recuperati i frammenti sono infatti bonificati dall’associazione di sminamento MAG (Mine Advisory Group) che attraverso metal detector rileva oggetti in metallo e una volta identificato l’oggetto decide se distruggerlo in loco o in luoghi più sicuri. A questo punto, il metallo viene trasferito in fonderie locali e poi recuperato dagli artigiani che lo lavorano.

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Sul sito (https://www.nowarfactory.com/) è possibile ordinare bracciali, anelli, orecchini, collane, gadgets e molto altro, tutti i prodotti sono inoltre certificati per non avere tossicità, nichel e radiazioni. Così, grazie al lavoro della gente locale, gli orrori della guerra vengono trasformati in lavoro per il futuro.

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