Orban: «L’immigrazione va fermata, non gestita»

Incontro a Milano tra il ministro degli Interni italiano, Matteo Salvini, e il premier ungherese Viktor Orban. La strategia dei cosiddetti “sovranisti” per cambiare l’Europa. Sullo sfondo un cartello comune per le prossime elezioni europee
AP Photo/Luca Bruno

Al di là dei convenevoli – «lui è il mio eroe», dice Orban; «vogliamo conoscerci meglio per lavorare assieme», aggiunge Salvini –, al di là dello scenario un po’ kafkiano dell’altro vice-primo ministro Di Maio che si smarca dalla politica ungherese – mentre il ministro degli Esteri Moavero Milanesi registra il rifiuto dell’omologo ungherese per l’accoglienza di qualche immigrato della Diciotti –, e al di là della manifestazione delle sinistre – ma non esclusivamente – contro l’incontro asimmetrico tra un ministro e un primo ministro, l’incontro di Milano suscita alcune semplici considerazioni.

In primo luogo si è messo al centro di ogni altro discorso politico il problema dell’immigrazione, con parole chiare che sanno tanto di slogan elettorale: «I Paesi si suddividono in due grandi blocchi – ha sintetizzato Orban –. Qual è l’obiettivo della nostra politica? Bruxelles dice, e così tedeschi, francesi e spagnoli, che la loro politica consiste nel gestire al meglio l’immigrazione. Noi, che siamo nel campo opposto, diciamo invece che l’obiettivo è fermarla. In questo noi e Salvini abbiamo la stessa posizione».

Cioè fermare l’immigrazione e non gestirla. Attorno a questo tema si giocherà la prossima campagna elettorale per le europee, anche se i due problemi maggiori di quest’Europa vengono così nascosti: l’economia (l’asse della produzione di ricchezza mondiale si è spostato dall’Atlantico al Pacifico) e la demografia (l’Unione europea avrà bisogno nei prossimi 50 anni di 100 milioni di immigrati per mantenere l’attuale livello di welfare).

In secondo luogo l’idea d’Europa che esce dall’incontro di Milano è anch’essa molto semplice: «Lavoriamo insieme per una futura alleanza che riporti al centro i valori che i nostri movimenti e i nostri governi rappresentano. Possiamo unire energie diverse con un obiettivo comune, escludendo le sinistre», dice Salvini. Cioè «cambiare i trattati Ue, non solo sull’immigrazione», difendendo le frontiere e rifiutando di cedere pezzi di sovranità nazionale alle istituzioni europee. Un chiaro progetto elettorale esplicitamente di destra, con l’obiettivo di instaurare di nuovo un’Europa di Nazioni, che però dimentica dove portò, nel 1914 e nel 1939, una tale accentuazione della dimensione nazionale, che inevitabilmente finisce per trasformarsi in un tutti contro tutti.

In terzo luogo, anche se è rimasto sottotraccia nell’incontro di Milano ma è evidente nelle tante dichiarazioni dei due leader, il tentativo di saldare “i valori cristiani” ad una politica particolare, unendo la contestazione ecclesiale alle riforme di Francesco considerato “di sinistra” – sempre più alla luce del sole, vedi il caso Viganò e le “resistenze” al papa di certi episcopati dell’Est – con la politica, appunto, di difesa delle frontiere e di stop all’immigrazione. Appare evidente come ci sia poco di Vangelo in tutto ciò: è una questione piuttosto culturale.

Nei prossimi mesi, come hanno annunciato Orban e Salvini, si moltiplicheranno gli incontri tra le destre estreme europee (inquietante quanto è successo in Germania a Chemnitz) per formare un “cartello” in vista delle prossime elezioni europee. Le manifestazioni di ieri a Milano sembrano auspicare un analogo fronte delle sinistre. Sicuri che questa sia la migliore soluzione per il bene dell’Europa? I “cartelli” possono magari far vincere delle elezioni, ma avvelenano il clima sociale e impediscono l’emergere di politiche di lungo respiro.

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