È ora di un bilancio ambientale nazionale
Ambiente ed economia. Al semaforo, disinserita la marcia e tolto il piede dalla frizione, l’auto si spegne automaticamente e sul display appare la quantità di CO2 non emessa sull’ambiente.
È un piccolo contributo, immediatamente visibile, che incoraggia a ripetere l’operazione alla prossima sosta. Il pensiero corre alla recente tragedia della Marmolada (crollo del ghiacciaio con morti e feriti gravi, ndr) e ciò amplifica ancor di più l’esigenza di far qualcosa di concreto per la nostra terra troppo calda.
Non solo, quell’indicatore fa sorgere una domanda più ampia: ma quali sono le principali fonti di emissione di CO2, che da solo rappresenta l’82% delle emissioni responsabili dell’effetto serra nel nostro Paese?
Dall’ISPRA – il nostro ente nazionale che si occupa di protezione e ricerca ambientale –sappiamo che un quarto delle emissioni è prodotto dal settore dei trasporti (24,4%), una fetta equivalente è coperta dalle industrie energetiche (24%), l’altra metà viene realizzata dal riscaldamento degli edifici (20%), dall’industria manifatturiera (12,6%), dai processi industriali (8,1%), dall’agricoltura (7,1%) ed infine dal trattamento dei rifiuti (4,3%).
La buona notizia è che dal 1990 al 2019 l’emissione di gas serra in Italia si è ridotta di quasi il 20%. Tuttavia la strada da percorrere è ancora molta, per quanto questa non sia una partita che l’Italia può vincere da sola, trattandosi di un problema globale.
Mantenendoci però all’interno del nostro contesto per le scelte che dipendono dai cittadini e dalla politica nazionale possiamo fare alcune considerazioni.
Dai dati è evidente che la mobilità è il settore più impattante in termini di gas serra: ogni volta che usiamo l’auto, ma anche il motorino, in qualche modo riscaldiamo l’ambiente. La tecnologia ci sta venendo incontro, anche se molti dubbi rimangono per tecnologie ancora immature – pensiamo allo smaltimento delle batterie – o socialmente discutibili – le materie prime sono estratte spesso in condizioni di sfruttamento – ed il cui prezzo, nonostante gli incentivi, risulta accessibile solo alla clientela più benestante.
Questo quadro dovrebbe spingere a sviluppare e ricercare anche altri modelli di mobilità complementari alle auto.
La pandemia ha mostrato che lo smart working può ridurre sensibilmente gli spostamenti ed il loro impatto. Tuttavia, per ragioni certamente comprensibili, in tempi più recenti il Governo ha fatto un forte passo indietro, specie nel pubblico impiego. Siamo passati così da un estremo all’altro senza considerare gli effetti complessivi (economici, ambientali e sociali) di tale scelta, come se ancora una volta il PIL fosse l’unico criterio guida, in una prospettiva di brevissimo termine, che tende al consenso di specifiche categorie di elettori e la garanzia di gettito fiscale.
Discorso analogo per il trasporto pubblico: nel PNRR il rafforzamento dei collegamenti regionali – miglioramento ferrovie regionali (management Rfi) – prevede 100 milioni di euro, mentre l’Alta velocità ben 2,5 miliardi. Eppure, su percorsi ferroviari esistenti si potrebbero facilmente realizzare sistemi metropolitani con treni frequenti, invece si assiste ad un’ulteriore riduzione dei treni regionali.
Di converso, aumentano le piste ciclabili, soprattutto nel nord Italia, ed in molte città le auto lasciano spazio ai ciclisti.
Una valutazione puntuale merita anche il tema energetico legato all’efficientamento degli edifici. Con il superbonus 110% sono stati stanziati 33,3 miliardi di euro, una cifra davvero rilevante che, al netto delle frodi, ci si può chiedere quali effetti potrà produrre in termini di impatto sull’ambiente. Le prime stime dell’ufficio studi Gabetti (un grande operatore immobiliare) parlano di riduzione media del fabbisogno energetico medio del 53%, di un consumo di gas annuo ridotto del 40% ed una riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 51%. Se così fosse queste misure – e misure simili come le comunità energetiche – hanno senso di essere confermate, magari con un impianto meno generoso e premiale per alcune fasce di cittadini abbienti, ed con maggiore attenzione agli effetti distorsivi sul mercato e sui prezzi dei materiali.
Questa breve rassegna di dati ci riporta al punto di partenza di questo contributo: ovvero quali sono gli effetti misurabili delle nostre scelte sull’ambiente? Come incoraggiarle?
Forse è tempo per un bilancio ambientale nazionale, nel quale ogni settore mostri i progressi e le aree di miglioramento. Non solo, ma ogni proposta politica che impatta sull’ambiente e incrocia le emissioni serra dovrebbe stimarne le conseguenze. Si pensi che per salvare l’economia si stanno riaprendo le centrali a carbone: ma quanto ci costa in termini ambientali? Così come ha più senso investire denaro pubblico per ridurre le accise sui carburanti o come in Germania, calmierare il costo degli abbonamenti dei mezzi pubblici?
Forse una valutazione ambientale esplicita e trasparente, ben comunicata, potrebbe incoraggiare anche le scelte ed i comportamenti virtuosi di ciascuno di noi.
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