Ora è tempo di vedere
Il divino trapassa nell’umano anche per il mezzo nostro.
«Non avete ricevuto spirito di servitù da ricader nel timore, ma spirito d’adozione a figli, in cui gridiamo: “Abba, o Padre!”. Lo Spirito stesso attesta allo spirito nostro che siamo figli di Dio. E se figli, anche eredi; eredi di Dio, coeredi di Cristo, se pur soffriamo con lui al fine di essere anche con lui glorificati» (Rom. 8, 15-17).
La società pare stanca della fatica della libertà, restituitale dalla redenzione: a mo’ delle turbe che seguivano Cristo per i pani mangiati e non per le verità rivelate. Più che di parola ora è tempo di prova: di martirio: tempo di sangue e strazio. La testimonianza: gli avversari non vogliono ascoltare: vogliono vedere. Oggi, come prima di Cristo, e anche peggio di allora, sta dilatandosi sul mondo, come una coltre cinerea, la noia solcata di paura: un senso di stanchezza, a cui si reagisce o stordendosi oppure apparecchiandosi ai massacri – queste distrazioni dalla miseria eguale. L’uomo ha paura di sé, della sua anima, e si getta in braccio alla moltitudine, non per unirsi, ma per perdersi: perdersi ammucchiandosi. Non c’è che il cristianesimo a recuperarlo da questa desolazione: a richiamarlo alle ragioni dell’esistenza, salvandogli intanto la persona, persa nel vortice armentizio esternamente e nel fatalismo interiormente.
Questa la grande impresa del cristianesimo oggi: richiamare alla vita l’uomo. Ma il cristianesimo si incarna nei cristiani. Cristo è la vite che mena frutto dai tralci: e i tralci siamo noi. Quando siamo in casa fruttifichiamo in casa; quando siamo in politica, traduciamo in opere sociali il messaggio di libertà e di giustizia, di amore e di pace del Vangelo. Quando siamo in economia, traduciamo in servizio dell’uomo i doni di Dio. Per tal modo il divino trapassa nell’umano anche per il mezzo nostro, se noi assecondiamo la volontà di Dio, che è Padre. E se è Padre, ci vuole figli suoi e dunque fratelli fra noi. E compito di una convivenza cristiana, nell’esercizio dell’autorità e della giustizia e nella protezione della libertà, è di ricostruire la società sul fondamento della solidarietà con i fratelli: e quindi di una più giusta distribuzione di beni, d’una più razionale comunicazione della vita, d’una vittoria razionale sul cannibalismo saliente: quello della povera gente che perde tempo a odiare, e cioè a morire, quando è tanto più bello e utile e ragionevole consumar la giornata a vivere. E tanto si vive quanto si ama. L’amore risuscita il regno di Dio, il quale «non è né cibo né bevanda, ma giustizia e pace e gioia nello Spirito Santo» (Rom. 14, 17).
(Da: La divina avventura, 1982)