Operazione Fca Renault e lavoro in Italia

L’Eliseo, azionista di Renault, interviene a tutela dell’occupazione in Francia. Cosa può fare il governo italiano?  Il disegno mancante di una politica industriale comune in Europa. Seconda parte dell’intervista all'economista Vincenzo Comito
John Elkann (AP Photo/Antonio Calanni)

Dopo avere analizzato le ragioni strategiche all’origine della ipotizzata fusione tra i due grandi gruppi automobilistici (qui), resta aperto il capitolo delle conseguenze sull’occupazione dei siti produttivi rimasti attivi in Italia. Molto dipende dalle scelte di lungo termine che stanno maturando all’interno del gruppo dirigente della famiglia Agnelli che controlla la Fca tramite la finanziaria Exor. Come riferisce il sito finanziario Blomberg lo stato francese avrebbe chiesto di collocare la sede della nuova società nel territorio transalpino e l’assicurazione di un posto nel Cda a garanzia degli interessi nazionali.

ANSA/CENTIMETRI
ANSA/CENTIMETRI

Il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire può esporsi in tal modo perché l’Eliseo ha mantenuto una partecipazione significativa nel capitale di Renault. In Italia, come è noto, ogni tentativo di partecipazione pubblica nel settore auto è stato fortemente osteggiato, in passato, dalla proprietà Fiat. Da questa consapevolezza continuiamo, perciò, la nostra intervista con l’economista Vincenzo Comito. (QUI la prima parte)      

Come si prevede, nel nuovo assetto societario post fusione, la presenza dei diversi azionisti e il peso prevalente nel consiglio di amministrazione?
La famiglia Agnelli sarebbe l’azionista di maggioranza relativa della compagine, con circa il 15% del capitale, contro il 7,5% dello Stato francese e sempre il 7,5% della Nissan. Ed è ufficialmente dal rappresentante della famiglia torinese che è partita l’iniziativa della fusione. Ma, d’altro canto, il rappresentante della FCA avrà solo la presidenza del nuovo gruppo, carica in genere poco più che di rappresentanza, mentre spetterà ai francesi quella di amministratore delegato, ben più rilevante. Nel consiglio di amministrazione ci saranno cinque delegati FCA, cinque francesi, ma uno della Nissan e quindi la maggioranza penderà presumibilmente dall’altra parte.

Sono scenari che fanno presagire qualcosa sul futuro delle scelte strategiche?
Gli Agnelli mostrano da tempo la volontà di uscire dal settore e, comunque, significativamente con l’operazione in atto ed altre recenti gli azionisti di FCA stanno portano via dalle casse dello stesso gruppo 5,5 miliardi (circa 1,65 andranno agli stessi Agnelli), spolpando finanziariamente l’azienda di origine. Nulla vieta poi che con il tempo gli Agnelli vendano in tutto o in parte la loro quota azionaria, rivolgendo l’interesse ad altri settori, per loro prioritari. Riteniamo poi che i francesi ben difficilmente cederebbero una parte consistente del potere agli italiani, come molti casi recenti mostrano.

Sono comunque ipotesi da verificare in piena trattativa…
In effetti la partita presenta ad oggi alcune incertezze, che saranno in qualche modo risolte nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Bisogna dire che le dichiarate sinergie per cinque miliardi e quelle ulteriori annunciate in caso di accordo anche con la Nissan e la Mitsubishi come al solito appaiono belle sulla carta, ma poi nella realizzazione concreta si dimostreranno, come spesso succede, almeno per una parte consistente, evanescenti.

Comunque il nuovo gruppo sarà chiamato a grandi sfide competitive con gli altri colossi dell’auto, a cominciare dai tedeschi ….
Ci si deve infatti chiedere dove si rivolgeranno i nuovi dirigenti per reperire le grandi risorse necessarie ai rilevanti investimenti che dovranno essere sviluppati nei prossimi anni per tenere il passo con la concorrenza. E anche, tra l’altro, su questo terreno l’accordo con la Nissan sembrerebbe molto importante.  Ci potrebbero essere dei problemi con l’autorità per la concorrenza europea, in particolare per quanto riguarda le quote di mercato del nuovo gruppo in Italia (oltre che in Romania) e quelle nel settore dei veicoli commerciali, ma essi sembrano superabili.  Bisognerà infine vedere la reazione di Trump, sempre imprevedibile.

ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

Si ribadisce, da parte della proprietà, che non si rischiano posti di lavoro ma, al contrario, nuovi investimenti in Italia.  È una prospettiva fondata a suo giudizio?
Appena annunciato l’accordo, i rappresentanti italiani e francesi si sono precipitati a dichiarare che nessuno stabilimento verrà chiuso nei due Paesi. Ma tale affermazione appare nel fondo poco credibile. In effetti, in Italia diverse fabbriche conoscono da anni la cassa integrazione, in mancanza di modelli sufficientemente vendibili, mentre i piani di rilancio regolarmente annunciati negli anni dai responsabili aziendali non vedono poi la luce. Così le vendite italiane del gruppo sono ormai inferiori all’8% del totale e i profitti pesano ancora di meno.

Quali sono i prevedibili rischi della fusione a livello di occupazione?
Con la fusione ci si troverà con diverse sovrapposizioni di modelli e di componenti tra le due case, nonché di posizioni organizzative doppie nelle funzioni centrali, a livello produttivo come a quello “corporate”. Appare difficile non pensare che alla fine bisognerà rilevare decine di migliaia di occupati in esubero. In particolare, sembrano poter soffrire in Italia, tra l’altro, Pomigliano e Mirafiori, nonché quello che resta delle funzioni centrali a Torino. Cosa fare in proposito sarà uno dei maggiori problemi anche politici e sindacali dei prossimi anni.

Quali leve politiche sono ancora possibili per entrare nel merito di tale accordo?
Su questo punto, ci sono tutti gli estremi per essere pessimisti. Sino ad alcuni decenni fa, lo Stato forniva ogni anno al gruppo Fiat sovvenzioni sotto diverse forme per somme astronomiche, senza chiedere niente in cambio. Nel periodo più recente c’è stata la fuga del gruppo dall’Italia senza che i governi battessero ciglio; lo stesso hanno fatto al momento della cessione della Magneti Marelli, eppure si trattava di uno dei pochi gioielli tecnologici di cui il Paese disponeva. Anche di fronte alla notizia della possibile fusione, mentre i responsabili del governo francese hanno immediatamente messo avanti delle condizioni molto precise, in particolare, ma non solo, per quanto riguarda la tutela dell’occupazione e il peso della Francia nell’affare, non c’è stata nessuna dichiarazione ufficiale del governo italiano, mentre solo qualche suo membro ha farfugliato qualcosa di acriticamente ottimistico.

Cosa dovrebbe fare il governo italiano?
Naturalmente un governo adeguato dovrebbe chiedere la tutela dell’occupazione, il mantenimento dei centri tecnologici attuali nel Paese, nonché la cessione del gruppo Comau (società del gruppo Fca specializzata nei processi di automazione, servizi di produzione e robot di saldatura, ndr) se proprio deve avvenire, a una compagine nazionale, ad esempio la Leonardo.  Tali richieste uscirebbero poi rafforzate se accompagnate da una presa di partecipazione rilevante nel gruppo da parte della Cassa Depositi e Prestiti, come accade in Francia con la Renault. Si porrebbe poi un tema ancora più di peso, quello di una politica industriale a livello europeo per creare e sostenere le aggregazioni tra imprese per far sopravvivere, almeno nel settore industriale tradizionale (in quelli tecnologici avanzati forse abbiamo già perso come Europa la partita), un’industria europea degna di questo nome.

Qui prima parte dell’intervista a Vincenzo Comito

 

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