Operazione Caravaggio

Palermo, Oratorio di San Lorenzo. La celebre “Natività” del pittore lombardo, rubata dalla mafia nel 1969, oggi rivive in una fedelissima copia tecnologica realizzata da un laboratorio di Madrid
La Natività

Dopo quasi mezzo secolo lo spazio insopportabilmente vuoto nell’Oratorio di San Lorenzo, nel cuore antico di Palermo, è stato colmato. Quel vuoto gridava una illustre assente, una tela entrata nella storia dell’arte e nella cronaca nera: la Natività di Caravaggio, trafugata dalla mafia nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 e mai più ritrovata. Dal dicembre scorso una riproduzione perfetta di quel capolavoro del Seicento campeggia nuovamente tra i candidi stucchi barocchi di Giacomo Serpotta e gli ori delle cantorie: un vero miracolo tecnologico dovuto all’impegno di Adam Lowe, direttore di “Factum Arte”, e del suo team di artisti, tecnici e restauratori specializzati in tecniche di stampa altamente innovative.

 

La copia realizzata è un’ulteriore prova che oggi non è impossibile rendere “eterna” un’opera d’arte anche nel caso di perdita dell’originale. Quale vantaggio ne potrebbe venire all’immenso patrimonio andato distrutto nei due conflitti mondiali o in quelli che attualmente lacerano il pianeta, come pure alle opere e ai monumenti considerati a rischio, è facile immaginarlo. Penso, riferendomi al Caravaggio, a un altro suo capolavoro perduto: quel San Matteo e l’angelo scomparso a Berlino, verso la fine della Seconda guerra mondiale, nel rogo della Flakturm Friedrichshain.

 

Un’altra buona notizia riguardante lo stesso Oratorio: a Lowe sarà affidato il ripristino di alcuni dei preziosi stucchi del Serpotta, anch’essi spariti da questo ambiente nel corso degli anni e venduti a spregiudicati collezionisti.

 

È anche vero però che se da una parte iniziative del genere sono accolte favorevolmente quale parziale risarcimento alle ferite inferte al patrimonio culturale di una nazione, dall’altra non mancano di suscitare perplessità sul rischio che si possa alla lunga sminuire il significato più profondo di un’opera d’arte, sostituendo a essa una copia, per quanto perfetta.

 

Lasciando il dibattito aperto, entriamo nel raffinato spazio barocco dell’Oratorio di San Lorenzo finalmente completo nei suoi elementi. Sull’altare campeggia la grande Natività (2 metri e 68 centimetri per 1 metro e 97), il cui titolo originale è Adorazione del Bambino coi santi Lorenzo e Francesco. Solo un esperto, a distanza ravvicinata, potrebbe accorgersi che si tratta di una copia. Ma com’è stato possibile realizzarne una così perfetta? Provvidenzialmente, qualche anno prima del furto, nel 1951, l’opera era stata restaurata e le fasi del restauro erano state documentate con foto ad alta definizione: proprio quelle che hanno permesso di ricreare il capolavoro perduto.

 

La tela, che secondo lo storico dell’arte Giovan Pietro Bellori sarebbe stata commissionata al Caravaggio nel 1609 dalla Compagnia dei Bardigli e dei Cordiglieri, rappresenta il Cristo nato in una stalla, presenti i santi Lorenzo e Francesco. Anche qui per i personaggi l’artista lombardo s’è ispirato a figure popolari, scelte fra i poveri ed emarginati da lui incontrati nella sua inquieta esistenza. Colpisce, al centro della raffigurazione, la Vergine nella sua umanità di donna sfinita dal travaglio del parto, che contempla il Bambino nudo giacente sulla paglia. A sinistra si staglia san Lorenzo, dietro il quale si profilano il bue e l’asino, mentre a destra un san Giuseppe dal manto verde, la schiena volta a chi guarda, sembra dialogare con un pastore posto alle spalle di san Francesco. Sull’angolo sinistro superiore irrompe dallo sfondo oscuro, simile a folgore, un angelo che reca in un cartiglio l’acclamazione «Gloria in excelsis Deo».

 

Davanti a questa scena realistica, intima, piena di umanità, ci si dimentica che si tratta di una copia e si è spinti solo alla contemplazione del mistero che in essa si celebra.

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