Opera di Roma, tutti a casa
È una tragicommedia. Il termine ci sta bene, perché si parla del Teatro dell’Opera di Roma e dei suoi “atti” di una commedia che sfiora la tragedia. Non era un mistero che il buco immenso delle finanze era irrisolvibile. E nemmeno che, dopo l’addio di Muti, tutti i direttori si sarebbero rifiutati di venire a lavorare in un ambiente sindacalizzato al massimo, con privilegi inauditi – si dice che il primo violino dell’orchestra in un anno abbia lavorato ben 62 giorni! –, favoritismi personali e la mentalità dell’impiegato-musicista che può anche suonare male, tanto ha lo stipendio assicurato. La solita Italia superficiale, che non lavora prima delle dieci del mattino, ma poi si lamenta di un minimo di sacrificio e costringe i giovani ad andare all’estero. Anche se, per fortuna, esiste un’altra Italia, quella che i sacrifici li fa per davvero.
E così il sindaco Marino e il sovrintendente Carlo Fuortes hanno pensato bene di mandare tutti a casa. Licenziati 182 musicisti, 92 orchestrali e 90 coristi. Salterà la “prima” dell’Aida il 27 novembre, con un direttore ancora da trovare?
Bella sfida per un teatro che non è più di serie A e che, costringendo Muti ad andarsene, ha fatto sì che per l’ennesima volta Roma e l’Italia facciano una figuraccia mondiale.
Le facce sono giù, al Teatro, e si capisce. La biglietteria ha visto un calo enorme, gli scioperi a Caracalla hanno portato via – si dice – 700 mila euro, il buco di 28 milioni della passata gestione si è allargato di altri quattro…
Come sarà in futuro? Orchestra e coro saranno organismi meno costosi, il teatro valuterà l’orchestra e il coro, niente più contratti a tempo determinato o indeterminato: l’orchestra verrà trattata come “ospite” in base all’eccellenza. Ce la faranno? Marino e Fuortes pensano di sì, chi scrive ha molteplici dubbi, conoscendo la facilità di certi politici che parlano dalla mattina alla sera e lasciano Roma – si guardi vicino al Colosseo – un immondezzaio, alla mercé del vandalismo turistico.
Ma conviene anche chiedersi il costo dei cachet che l’Opera ha pagato a certi artisti (anche il grande Muti…). Non sarà i l caso di “scendere” un poco?
In realtà, il dramma dell’Opera romana è quello della cultura italiana. Non basta invocare i decreti del ministro Franceschini – chi lo ascolta? E lui è all’altezza della situazione? –, occorre potenziare l’educazione degli italiani. Finché a scuola non si darà il “diritto” di esistere alla storia dell’arte, della musica e del cinema, le nuove generazioni cresceranno nella ignoranza di chi siamo, della nostra identità e del nostro patrimonio. Per passare dai diritti, che tutti reclamano, ai doveri, che sembra nessuno voglia compiere.
Così si arriva anche all’opera tragicomica del Teatro romano, dove la violenza verbale di alcuni, l’attaccamento ai privilegi di altri, la “piccola mafia” di altri ancora, ha ottenuto – surclassando i professionisti di valore, che ci sono – alla fine una “vittoria di Pirro”. Forse certi sindacati non dovrebbero sentirsi così onnipotenti… Fossero vivi, Belli e Trilussa ne avrebbero da raccontare, ridendo con la bocca amara, però!