Onu, un patto per il futuro. Ripensare l’impensabile
Le ambasciate dei governi membri delle Nazioni Unite, centinaia di imprese e di rappresentanti del terzo settore hanno lavorato due anni per costruire un consenso globale su nuove forme di governo dei beni comuni globali e della pace, da presentare a un “summit per il futuro” senza precedenti.
Dal 20 al 23 settembre 2024 si sono tenute a New York le ultime consultazioni, dopo le quali è stato approvato un “patto per il futuro”, che impegna tutti, popoli e governi, a una radicale trasformazione delle loro responsabilità collettive.
Era giusto farlo e farlo adesso: infatti, l’umanità si trova in un momento molto critico in cui si devono affrontare gravi rischi sempre più imminenti – dalla guerra nucleare all’emergenza planetaria di pandemie e del cambio climatico, dalla povertà persistente all’aumento delle disuguaglianze, fino all’indebolimento delle democrazie e al progresso sregolato dell’intelligenza artificiale: sono distopie che minacciano l’esistenza stessa dell’umanità.
È divenuto evidente un consenso molto grande in ogni parte del mondo sul fatto che si tratta di sfide globali che non possono essere risolte solo a livello nazionale o con le interminabili consultazioni degli anni passati: i popoli del mondo hanno bisogno – e meritano – un’azione globale rapida e meglio coordinata.
Fin dall’inizio del nuovo secolo, le istituzioni di governance globale si sono dimostrate incapaci di affrontare le crisi attuali, comprese quelle più gravi, per esempio in Ucraina, in Palestina e in Sudan.
In un mondo sempre più multipolare, le potenze emergenti (per esempio India, Brasile, Giappone) che trovano il sistema attuale – in particolare la composizione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – ingiusto e poco rappresentativo, stanno perdendo fiducia nel multilateralismo e rischiano di ritirarsi del tutto. Questo non giova a nessuno, nemmeno alle cosiddette grandi potenze che vinsero la Seconda guerra mondiale.
Purtroppo il risultato di questo sforzo importante per riformare la governabilità globale è stato piuttosto modesto, perché l’insieme dei membri delle Nazioni Unite non è riuscito – a causa, sostengono alcuni, di alcuni governi guastafeste – a sfruttare appieno l’opportunità che il Vertice del Futuro presentava.
Nei mesi precedenti al Vertice sul Futuro, i negoziati intergovernativi sono stati controversi e si sono protratti fino all’ultimo, con opinioni divergenti sul linguaggio proposto per riformare l’architettura finanziaria internazionale, sostenere i diritti umani e i diritti di genere e delle generazioni future, promuovere l’azione per il clima e il disarmo e riformare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Dopo oltre due anni di preparativi, diverse revisioni e innumerevoli ore di energia diplomatica, il vertice ha prodotto un accordo noto come “Patto per il futuro“. Il documento compie passi incrementali nella giusta direzione, ma soprattutto a livello di principi e di riaffermazione di impegni già presi, non di vere e proprie azioni concrete obbligatorie.
I modesti progressi dell’accordo – tra cui il riconoscimento della necessità di rimediare all’ingiustizia storica e alla sottorappresentazione dell’Africa nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’impegno a proteggere i bisogni e gli interessi delle generazioni future, il primo accordo internazionale sulla governance dell’intelligenza artificiale e il sostegno per aumentare la voce dei Paesi in via di sviluppo nel processo decisionale del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale – sono al di sotto delle richieste di molte organizzazioni della società civile e di alcuni governi più lungimiranti.
Data l’importanza della posta in gioco, quanto delineato nel Patto per il futuro non è sufficiente a riprendere in mano la governabilità dei beni comuni globali, compresa la pace tra i popoli. In realtà, sarebbe necessaria una riforma più radicale dell’ordine internazionale, che torni alle basi, cioè al documento costituzionale fondante delle relazioni internazionali odierne: la Carta delle Nazioni Unite firmata nel 1945.
La policrisi globale richiederebbe una revisione dello Statuto stesso delle Nazioni Unite (un’ipotesi prevista dall’art. 109), per introdurre una qualche forma di democrazia universale, come per esempio un parlamento globale eletto dai popoli.
Ma, considerando quanto sono stati difficili i negoziati relativi al Vertice del Futuro su riforme molto più modeste, alcuni internazionalisti sostenitori del multilateralismo si chiedono: tutto questo è realistico?
Certo, l’atmosfera politica attuale è poco favorevole alla cooperazione. Ma è proprio nei momenti di crisi che tendono a verificarsi le svolte importanti. Infatti, nel secolo scorso, la Società delle Nazioni e l’ONU sono nate entrambe da guerre mondiali. Dovremmo aspettare la terza guerra mondiale o un conflitto nucleare per deciderci a trovare un sistema migliore?
Durante il summit la Russia ha incoraggiato i suoi partners tradizionali in Africa e in America Latina a bocciare il Patto per il Futuro, o almeno a rimandarlo sine die, con una “pausa di riflessione”.
La mozione russa ha affermato «Nessun Paese è contento di questo patto». Ma la Russia si è sbagliata di grosso. Inaspettatamente nessuno dei paesi di cui la Russia cercava l’appoggio ha accettato quell’invito contro il consenso mondiale.
Al voto sulla mozione della Russia, solo sette Paesi, Bielorussia, Corea del Nord, Iran, Nicaragua, Russia, Siria e Sudan hanno espresso voto a favore di una moratoria. 143 Paesi hanno votato invece a favore di una approvazione immediata, compresi i Paesi europei, tutte le più grandi economie, i Paesi in via di sviluppo, ed escluso un piccolo gruppo di 15 Paesi per lo più sovranisti (compresa l’Italia, Cuba, la Cina e l’Irak) che si sono astenuti.
Il patto per il futuro è stato dunque approvato: le 60 azioni urgenti per la trasformazione del buon governo globale, contenute nel patto, sono divenute una mappa condivisa del cammino da fare in fretta. Adesso tocca a tutte le persone di buona volontà metterlo in pratica, anche in quei pochi stati dove i governi pensano di poter affrontare la policrisi, ognuno di testa propria.
Infatti, anche per chi crede che gli interessi nazionali vengano prima di quelli dell’umanità intera, l’esperienza della terza globalizzazione ha dimostrato che solo la pace e relazioni alla pari con tutti i Paesi del mondo offrono la stabilità necessaria per poter dedicare sforzi e risorse alle priorità interne di ogni paese.
Dato che tutto è connesso, anche se potrebbe sembrare impensabile, perfino un egoista intellettualmente onesto sa che per star bene ha bisogno della collaborazione degli altri. Lo slogan sovranista, “la mia nazione viene prima” fa solo sorridere se ad affermarlo sono diverse nazioni insieme. Una vera accelerazione del multilateralismo pragmatico ed efficace è fattibile ed è un obbligo morale rispetto alle prossime generazioni.