Onu e Ue irrilevanti in Medio Oriente

Le radici storiche del conflitto tra Usa e Iran. La strategia di Trump, allineato con Israele e i sauditi, e la drammatica impotenza di un'Europa senza politica estera e senza una difesa comune
Donald Trump

Tanto tuonò che piovvero missili. È quel che si può dire con una battuta sull’attuale crisi USA-Iran, che in realtà ha radici lontane nel tempo, ben oltre l’amministrazione Trump.

Il famoso patto Sykes-Piquot, raggiunto tra Francia e Gran Bretagna nel corso della Prima guerra mondiale, prevedeva la spartizione dell’impero ottomano e la costituzione locale di stati e staterelli utili per poter esercitare l’influenza coloniale delle due superpotenze di allora e lo sfruttamento delle risorse energetiche di quei territori.

Oltre 100 anni dopo, il Medio Oriente è ancora una polveriera in fiamme, dove le guerre infinite vedono l’intervento diretto e indiretto di altri Paesi in termini sia militari sia politici, il tutto connesso al petrolio. Materia prima fondamentale per il modello economico di sviluppo mondiale.

Il petrolio prodotto dall’area mediorientale ha raggiunto nel 2018 gli 11,5 milioni di barili per soddisfare la crescente domanda mondiale.

Uno dopo l’altro i Paesi dell’area hanno conosciuto guerre e tensioni mai sopite: dal Libano alla Siria, da Israele ai territori palestinesi, dall’Iraq all’Iran, dal Kuwait sino allo Yemen per arrivare più lontano all’Afghanistan. Il grande gioco mondiale delle potenze si svolge sulla pelle di milioni di persone abitanti quei territori.

 La rivalità tra Iran e Arabia Saudita, dovuta non solo ai motivi religiosi (sciita il primo e sunnita il secondo), ma anche ad interessi geopolitici regionali, è un elemento d’instabilità abilmente utilizzato da attori esterni.

Se i due regimi gareggiano spesso e volentieri nella repressione dei diritti umani e delle libertà civili delle rispettive popolazioni, l’Occidente, e in particolare gli Usa, hanno chiuso ben più di un occhio sul regime di Riad, amico di Washington anche dal punto di vista finanziario.

Teheran, che nel periodo dello scià Reza Pahlavi era apparso come altro punto di riferimento sicuro per l’Occidente, è sin dalla rivoluzione khomeinista divenuto un Paese non più allineato e addirittura ostile (basta pensare alla vicenda degli ostaggi presi all’ambasciata americana a Teheran nel 1979).

Obama Ansa
Obama Ansa

Il tentativo di Obama
Assai faticosamente si era giunti con l’amministrazione Obama a riavviare un minimo di rapporto proprio con l’accordo sul nucleare firmato nel 2015 a Vienna congiuntamente da Iran, Stati Uniti, Russia, Francia, Gran Bretagna, Cina e Unione Europea, ma fieramente contestato da Israele.

Tale accordo, finalizzato a garantire l’uso solo civile del nucleare, prevedeva anche una serie di severi controlli ad opera dell’AIEA, l’Agenzia internazionale per il controllo dell’energia atomica. In cambio le sanzioni economiche verso Teheran venivano ridotte.

La nuova amministrazione Trump ha denunciato unilateralmente tale accordo, imponendo attraverso un embargo nuove sanzioni non solo verso l’Iran, ma anche verso i Paesi eventualmente in rapporti commerciali con Teheran, compresi quelli dell’UE, seppur alleati di Washington.

La timida risposta europea all’embargo deciso dalla Casa Bianca ha mostrato tutta l’impotenza dell’Unione (sottomettendosi di fatto a questa imposizione), mentre Russia e Cina hanno cercato, invece, di trovare nuovi spazi economici e politici con il Paese persiano.

Il regime di Teheran, nel frattempo, in questi anni ha espanso progressivamente la sua influenza allacciando rapporti con gli Hezbollah libanesi, sostenendo gli Houthi nello Yemen e Assad in Siria, nonché, attraverso la lotta contro il sedicente califfato islamico, penetrando anche in Iraq, devastato dal lungo periodo di caos successivo alla guerra contro Saddam Hussein fortemente voluta dal presidente statunitense G.W. Bush jr.

Qui le forze iraniane sono andate radicandosi e raccogliendo anche alcuni consensi da parte della popolazione, per cui l’Iraq si trova ora ad “ospitare” sul proprio territorio, volente o nolente, forze armate della coalizione anticaliffato avversarie e combattenti ormai tra di loro.

Nel momento in cui l’ISIS nel suo tentativo statuale appare ormai sconfitto, le tensioni – sinora relativamente sopite – sono andate riemergendo con forza. Una serie di attacchi contro le basi statunitensi in Iraq, ritenuti ad opera delle milizie sciite sostenute da Teheran, hanno fornito la motivazione per l’uccisione del generale iraniano Soleimani e per la successiva risposta missilistica iraniana.

In this photo released by the official website of the Office of the Iranian Supreme Leader, Gen. Esmail Ghaani, newly appointed commander of Iran's Revolutionary Guards Quds Force, weeps while praying over the coffin of the force's previous head Gen. Qassem Soleimani at the Tehran University Campus in Tehran, Iran, Monday, Jan. 6, 2020. Soleimani was killed Friday, Jan. 3 in a U.S. drone attack in Iraq. (Office of the Iranian Supreme Leader via AP)
In this photo released by the official website of the Office of the Iranian Supreme Leader, Gen. Esmail Ghaani, newly appointed commander of Iran’s Revolutionary Guards Quds Force, weeps while praying over the coffin of the force’s previous head Gen. Qassem Soleimani at the Tehran University Campus in Tehran, Iran, Monday, Jan. 6, 2020. Soleimani was killed Friday, Jan. 3 in a U.S. drone attack in Iraq. (Office of the Iranian Supreme Leader via AP)

Al contempo, mentre si sparano reciprocamente, da parte sia statunitense sia iraniana si afferma incredibilmente di non volere la guerra.

Il sovranismo di Trump
Da alcune parti viene messa in evidenza l’azione devastante dell’attuale inquilino della Casa Bianca (in patria sotto procedura d’impeachment e prossimo a nuove elezioni), che ha sposato integralmente le posizioni del governo d’Israele riconoscendo Gerusalemme capitale d’Israele, sospendendo il finanziamento all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) e denunciando l’accordo nucleare con l’Iran, che ha siglato accordi per megaforniture di armi con Riad, che ha lasciato alla mercé delle truppe turche i curdi siriani suoi alleati fino a poco prima, che ha imposto minacciosamente a larga parte del mondo embarghi decisi unilateralmente, che ha denunciato l’accordo nucleare INF con la Russia, che vorrebbe attuare contemporaneamente una politica isolazionista/sovranista (chiusa su se stessa) e una di tipo imperiale (controllando autoritariamente il mondo o almeno una sua larga parte), che contesta l’emergenza climatica, per dirne solo alcune.

Ma se il leader statunitense sta procedendo come un uragano distruttivo sulla scena internazionale, quel che più preoccupa è l’evidente marginalizzazione ed impotenza sia delle Nazioni Unite sia della stessa Unione Europea nonché della NATO, mentre il caos sembra espandersi a macchia d’olio nel nostro cosiddetto Mediterraneo allargato.

La vicenda libica, con l’attuale intervento armato della Russia e della Turchia a sostegno delle due fazioni, è esemplare delle ir-responsabilità occidentali, che hanno scatenato un’instabilità incontrollabile dapprima facendo cadere il regime di Gheddafi nel 2011 e poi non essendo capace di gestirne la fase successiva.

L’Unione Europea, sempre più disunita, mentre la Gran Bretagna se ne va per suo conto, mostra palesemente di non saper attuare una politica estera e della difesa comune, condizionata da un antico nazionalismo che riaffiora nei momenti cruciali.

Nel gran caos, tramonta il sogno europeo, mentre i popoli del Medio Oriente e del Nord Africa stanno subendo gli effetti drammatici di politiche predatorie straniere.

Qui un dossier scaricabile dal sito di Iriad sulla Questione Medio Oriente, Iran e Nucleare.

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